— Non devi aver vergogna di noi. Adesso fai parte della famiglia — disse Tennent. — Di sera ci mettiamo spesso qui a cantare, invece di guardare quelle porcate che danno in televisione. Dài, John! — Si mise a gesticolare come il direttore d’un coro. Le sue mani per poco non toccarono la faccia di Redpath. — E se la strada è dura il viaggio ti matura;/arrivi alla natura… Sììììììì…
“Io non faccio parte della vostra maledetta famiglia” pensò Redpath, ma le sue labbra avevano già cominciato a muoversi in risposta all’invito di Tennent. Il suono della propria voce che cantava quelle parole lo imbarazzava moltissimo. “Non è possibile che mi stia succedendo davvero. Cos’ho dimenticato di fare? Lasciatemi andare a letto, vi prego.”
Decise di alzarsi, di scusarsi con la massima cortesia possibile e ritirarsi in camera appena la canzone fosse finita; ma quando giunse il momento si trovò prigioniero dello stesso tipo di paralisi che lo afferrava da bambino e che lo aveva costretto ad assistere a innumerevoli funzioni religiose e concerti scolastici. Doveva solo alzarsi, mormorare le sue scuse e andare a letto; eppure, una cosa tanto semplice era al di là delle sue forze. Gli altri quattro lo opprimevano psichicamente, lo paralizzavano; e se avevano voglia di restare lì a cantare fino all’alba, lui sarebbe rimasto per forza con loro. Guardò l’orologio appeso sopra il caminetto, vide che mancava più di un’ora a mezzanotte; quasi gli sfuggì un gemito quando la compagnia finì la prima canzone e attaccò immediatamente “Lily della laguna”, con un affiatamento da maestri.
Cantavano a voce bassa, quasi con riverenza, dominati dall’assurda musicalità di Albert, che fumava continuamente e sorrideva con quel suo sorriso acromegalico, canzone dopo canzone. La signorina Connie sferruzzava incessantemente, e la massa informe di lana grigia diventava sempre più lunga. Betty York gli sorrideva, calda e incoraggiante, ogni volta che i loro occhi si incontravano. Wilbur Tennent, elegante, impeccabile, ogni tanto si metteva a dirigere il coro, e i gemelli sfavillavano, e la sua faccia grassoccia era soffusa di bonomia. A Redpath venne in mente un gruppo di alcolizzati che tentasse disperatamente di convincersi che la felicità è stare tutti assieme in un locale squallido a bere cioccolata, e si sentì soffocare ancora di più. Un insetto atterrò sulla parete di fronte a lui e cominciò a ronzare a ritmo continuo, minuto dopo minuto, come un minuscolo meccanismo che si fosse rotto e non potesse più fermarsi…
— Gente, domani è un altro giorno — annunciò improvvisamente Betty, a mezzanotte meno un quarto. — E io ho bisogno di dormire, se no divento brutta.
Si alzò, passandosi distrattamente le mani sul petto alla Liz Taylor. Guardandola, Redpath ricordò che all’inizio, incredibilmente, aveva pensato di gettarsi in
Wilbur Tennent lo stava fissando con un’espressione di perplessità addolorata, tra un sorriso e una smorfia di preoccupazione.
— John, vecchio mio — gli disse — non avrai intenzione di lasciarci eh?
Redpath si agitò per un attimo. Non sapeva cosa rispondere. — No. Certo che no. Insomma…
— Bravo, John. E non scordarti di Parsnip Bridge.
— Buonanotte — disse Redpath, salutando tutti in una volta, poi corse via nel buio della casa, salì gli scalini a due e tre per volta, silenzioso e agile come una belva. Arrivò al pianerottolo del secondo piano, entrò in camera, chiuse la porta, accese la luce. Il lampadario oscillò leggermente, creando ombre inquietanti. Il sollievo di essere solo era attenuato da un fatto sconvolgente: aveva davanti una notte intera, e doveva trascorrerla in quell’ambiente inospitale, fra mobili che sembravano scelti a caso e senza nessun gusto. Per quanto si sentisse stanco, era molto improbabile che riuscisse a dormire in una stanza del genere. Si fermò accanto alla porta: la camera da letto non era riscaldata, e gli era venuta la pelle d’oca. Poi si gettò sotto la trapunta senza nemmeno svestirsi.
Dopo un paio di minuti cominciò a scaldarsi; ma il calore del suo corpo, paragonato al freddo della casa, gli faceva sembrare ancora più ostile l’ambiente. Le sue membra calde erano un avamposto solitario, minacciato da nemici attenti e implacabili.
“Nemici? Non essere stupido. Non fare resistenza. Qui sei al sicuro. Adesso fai parte della famiglia…”