“Avete torto, s’ella fosse avversa, non ve la farebbero notificare per mezzo di mazziere. A gente come siamo noi prima mozzano il capo, fanno poi il processo; animo, su, Malatesta, questa `i una buona nuova”.
“Dio voglia che sia cos`i. Avanti il mazziere”.
Entra il mazziere con grave cerimonia, vestito di scarlatto, con la insegna del cuoune sul mantello, e salutato il Malatesta, gli espose con solennit`a il suo messaggio.
“Strenuissimo e magnifico messere Malatesta, essendo finita la condotta di don Ercole principe di Ferrara, piacque ai signori Dieci, ragunata la Pratica, mandarvi alle fave per subentrargli nell’ufficio di capitano generale della Reppublica. Essendo stato vinto a favore vostro il partito, il magnifico gonfaloniere mi manda a darvene avviso e a pregarvi di stare pronto a riceverne la investitura questa stessa mattina con le consuete solennit`a nella Chiesa di Santa Maria del Fiore”.
“Stamane! appunto stamane! ebbene, andate e riferite ch’io, con le ginocchia della mente chine, ne rendo loro quelle grazie che so e posso maggiori…”
“Addio, messere”.
“Cencio, dov’`e la lettera del papa?”
“Qui sopra la tavola; io l’ho ricoperta con la zimarra di velluto”.
“Tu meriti ch’io ti faccia imbalsamare: porgimela; d’ora in poi non mi uscir`a di dosso”.
E se la ripose insieme colla borsa nella tasca laterale delle larghe brache alla spagnuola. Io pertanto non esporr`o siffatta cerimonia, poich`i se mai, o lettore, ti avvenisse visitare Firenze, andando al palazzo Gaddi ti occorrer`a dipinta in un bel quadro del Rosselli, o del Pomarancio; solo ti dir`o che il gonfaloniere nel consegnare a Malatesta le insegne della sua nuova dignit`a, oltre all’avergli pi`u volte rammentato la morte acerba di suo padre Giampagolo, concluse:
“Piglia dunque, illustrissimo signore, piglia prodissimo campione ed invittissimo general nostro, con fausto auspicio di te e di noi da me gonfaloniere e da questa inclita Signoria in nome di tutto il magnifico popolo fiorentino, questo stendardo quadrato ricamato di gigli, questo elmetto di argento smaltato medesimamente di gigli, arme del comune di Firenze, e questo scettro di abete cos`i rozzo e impulito com’egli `e, in segno, secondo il costume nostra antico, della superiorit`a e maggioranza tua sopra tutte le genti, munizioni e fortezze nostre, ricordandoti che in queste insegne quali tu vedi, `i riposta, insieme con la salute e rovina nostra, la fama e la infamia tua sempiterna”.
Malatesta abbracci`o quasi commosso le insegne, e tra le pieghe dello stendardo nascose la faccia, sulla quale mand`o il pudore il suo ultimo addio. Certamente avrebbe arrossito anche Satana. Poi pieg`o le ginocchia per proferire il giuramento solenne dinanzi all’argenteo altare, dove molti capitani avevano giurato prima di lui, come Raimondo da Cortona, Bernardone delle Serre, il conte di Pitigliano ed altri non pochi, nessuno per`o con animo deliberato, come il Baglione, di tradire la Repubblica. Ora volle fortuna che, mentre lui si china, gli uscissero dalla tasca, dove le aveva riposte, la borsa e la lettera di papa Clemente. Dove siffatta lettera fosse stata spedita in forma di breve, toccava Malatesta l’ultimo istante di vita: fu sua ventura somma che non vi avessero apposto il suggello del pescatore, o segno altro qualunque il quale dichiarasse la sua origine. Dante da Castiglione, che gli stava vicino, raccolse la lettera e la borsa, e tentato Malatesta nel braccio, gli parl`o sommesso:
“Capitano generale, vi `i caduto roba di tasca”.
“Qual roba?”
“Una carta e una borsa”.
“Una carta! Ah! la lettera!” – E tinto del pallore della morte, – “Spero, proseguiva, o messere, che vorrete rispettare il segreto di un foglio capitatovi per questa via nelle mani”.
Cencio, quel suo fedele cos`i corrivo a pungerlo di parole, eragli poi legato per la vita con le opere; senza Cencio, Malatesta non avrebbe impreso tanti avviluppati disegni, o senza fallo vi si smarriva dentro. Cencio poteva chiamarsi l’angelo custode del delitto; ed ora vedendo lo imbarazzo dei suo signore, lo soccorse piegandosi all’orecchie del Castiglione per susurrargli con arcano:
“Egli `e concio fino all’osso di male francese, e pur non si rimane dal mantenere commercio con femmine di ogni maniera”.
“Quando anche”, – risponde il Castiglione al Malatesta toccando con la mano destra la lettera, ve la mandasse papa Clemente, conosco troppo gli uffici di gentiluomo per prevalermi nel caso… Prendete, capitano generale…”
Malatesta stendendovi sopra prontissime le mani, aprendo le labbra ad un sorriso, mentre gli stavano i denti stretti pel freddo della paura, sibil`o in certo modo le parole che seguono:
“E’ sarebbe, messere, bene strana novella che io mi presentassi a giurare fedelt`a co’ patti del tradimento sopra la persona....” Ormai il cuore di Malatesta ha messo il tallo sul delitto; i suoi fati lo tirano.