I principali del castello, recatisi sul ballatoio di porta Piovana, rispondono alla intimazione: aprirebbero volentieri, purch'e avessero fede che sarebbero lor salve le sostanze e le vite. I capitani dei cavalleggeri soggiungono; “Aprite tosto; di ci`o vi malleviamo sotto parola del principe Filiberto di Orange capitano cesareo, che di poco tratto ci seguita.”
E i terrazzani da capo: “Di voi punto non ci fidiamo; aspettate che venga il principe, e quando lui proprio ci assicuri, vi apriremo le porte; n'e l’esitanza nostra deve adontarvi, imperciocch'e essendo Gavinana
Tutte queste parole mettevano innanzi i Gavinanesi non per voglia che avessero di arrendersi, ma per dar tempo di arrivare al Ferruccio, a cui avevano mandato celerissimi messi, ed ora, per sempre pi`u affrettarlo, si posero a suonare furiosamente le campane a martello. I messi di Gavinana incontrano il Ferruccio nella casa del Mezzalancia.
“Affrettate i passi, per Dio! messere lo commessario; Gavinana appena si tiene, tanto l’assalgono grossi i nemici d’intorno; ma per poco che tardiate, voi troverete un mucchio di rovine. Il principe d’Orange in persona comanda all’esercito”.
“Maledetta sia la paura che vi fa vedere dappertutto il principe di Orange come se fosse il trentadiavoli e la versiera! Vi pare che lui avrebbe voluto o potuto abbandonare il campo sotto Firenze?”
“Io vi giuro pel corpo di Cristo, messere Ferruccio, che Orange vi sta incontro; molti dei vostri lo hanno veduto”.
Allora il Ferruccio trasse un sospiro e tra i denti mormor`o: “
Uscito all’aperto, il Ferruccio di slancio salt`o in sella al suo buon cavallo e, levatosi l’elmo di testa, all’esercito, che gli stava schierato davanti come in anfiteatro, rivolse queste nobilissime parole, conservateci da Bernardo Segni al quarto libro delle sue Storie:
“So per esperienza, soldati fortissimi, che le parole non aggiungono gagliardia nei cuori generosi, ma s`i bene che quella virt`u che vi `e dentro rinchiusa, allora si mostra pi`u viva che l’occasione o la necessit`a la costringe a far prova di s'e. Siamo in termine dove l’una e l’altra cosa ci si apparecchia per fare al mondo pi`u chiara e pi`u bella la costanza e la fortezza degli animi nostri; l’occasione vedete bellissima e sopra ogni altra onoratissima che ci si mostra difendendo con giusto petto l’onore delle armi italiane e la libert`a della nobilissima patria nostra, per farvi risplendere per tutti i secoli di chiara luce; la necessit`a ci `i presente e davanti agli occhi, che ci fa certi che ritirandoci saremmo raggiunti dalla cavalleria nemica, e che stando fermi non avremmo luogo forte da poter difenderci n'e vettovaglia da poter vivere, quando bene prima entrassimo in quelle mura. Restaci adunque solo una speranza, e questa `i la disperazione di ogni altro soccorso infuorch`i di quello che dalla virt`u delle vostre destre infino a questo giorno state invittissime e dal vostro animoso spirito procede. Questo ci far`a in ogni modo vincere; n'e, bench'e siamo meno per numero, ci dobbiamo diffidare, per la speranza, oltre a quella della virt`u vostra, maggiormente in Dio ottimo massimo; che, giustissimo e conoscitore del nostro buon fine, supplir`a con la sua potenza dove mancasse la forza nostra”.
E ricopertosi il capo, con feroce sembianza brandita la spada, riprese:
“Soldati, non mi vogliate abbandonare in questo giorno”.
I cavalieri imperiali, sospettando ormai la malizia dei Gavinanesi e gi`a vedendo apparire le insegne fiorentine, non si tennero pi`u in freno, ma, trascorrendo a mano diritta lungo le mura di Gavinana, si fecero animosamente ad incontrare il nemico.