Costui conobbi sempre studioso della licenza, la quale, finch'e non trovi luogo a dimostrarsi nel suo brutto sembiante intera, assai sovente si scambia con la libert`a, uomo di corrucci e di sangue, non di quell’animo fermo che i gravi casi della patria domandano, di costumi corrotto e superbo, ogni bene riposto nei grossolani diletti della vita. La impresa a cui mi prepongono i Dieci giover`a assai alla salute di Firenze, Perch'e, vincendola, come, da Dio sovvenuto, confido, ridurr`a alla sua devozione una citt`a ribelle, e il suo credito scaduto verr`a a rinverdire; in ogni caso, scemer`a forza all’esercito, Perch'e Orange mander`a gente a tentare di ricuperarla. Per`o il danno non compenserebbe il vantaggio perdendo Empoli: finch'e conserviamo questa terra, non sar`a mai spacciata la patria; la campagna ci `e aperta fina a Pisa, comodissima ci sovviene la facilit`a di provvedere gli assediati; insomma il Palladio di Firenze si conserva qui dentro. Or dunque voi comprendete di quanta importanza mi sia lasciarvi persona sicura che vigili attentissima tutti i casi che possono accadere alla giornata e me ne ragguagli con diligenza”.
“Ma”, – riprese esitando Ludovico, – “la promessa che voi faceste al padre mio moribondo mi suona diversa; o non prometteste voi ch’io vi sarei morto al fianco per la patria combattendo?”
“Vico, io non muto mai; ma dite: voi da quel tempo in poi nulla vi sentite mutato? Allo amore di patria non si mescol`o per avventura un altro amore? Vostro malgrado, non si lev`o nel cuor vostro un istinto di conservazione per la vostra vita dacch'e un’altra vita vi preme molto pi`u della vostra? `E santo il vostro affetto, ed io lo approvo; pure sarebbe stato meglio che vi avesse acceso in altra stagione. Ma i fati reggono gli eventi; io poi non domando mai cose superiori alla umana natura; male, penso, si lascia il fianco della sposa per affaticarsi quotidianamente al raggio del sole in battaglia”.
“Messere, l’uomo difender`a per religione quel sepolcro, Perch'e contiene le ossa de’ suoi congiunti e conterr`a le sue; ma se vi aggiungi la difesa della sua sposa e dei figliuoli, allora il soldato ti parr`a fulmine di Dio contro i nemici: io mi rammento avere udito raccontare dal padre di Vico come gli antichi Spartani non accettassero combattenti nella falange sacra dove non fossero innamorati…”
“E che vorreste fare, giovanetta?” – le domanda amorevolmente il Ferruccio.
“A lui”, – riprese Annalena additando Vico, – “quello che spetta a moglie d’uomo che combatte per la difesa della patria; a voi quanto incombe a figliuola di padre affettuosissimo: io per me abborro il sangue, e la guerra `i necessit`a che deploro con tutta l’anima; apprester`o bende e rimedi alle ferite mentre voi vi avventurate al pericolo di riceverle; vi veglier`o infermi; vi temperer`o con freschi pannilini l’ardore delle membra quando vi travaglier`a la febbre; ricever`o nel mio seno il colpo che vi sar`a indirizzato… vivr`o con voi, e per voi morir`o”.
Il matrimonio di annalena e Vico fu celebrato nelle domestiche pareti, ch`i prima del concilio di Trento molte formalit`a, diventate in seguito sostanziali, si trascuravano; mancarono i riti solenni; non vi assist`i la corona dei parenti e degli amici. Il Ferruccio, modesto com’era, and`o lui stesso per il prete. Furono nozze dicevoli al soldato in procinto di perdere la vita, alla donna che corre pericolo di diventare vedova prima che sposa. La religione del cuore suppl`i alle pompe religiose, l’amore immenso dei pochi alla proterva allegrezza dei molti convitati.
Compiti appena gli sponsali, Vico baci`o in fronte la sua donna e tenne dietro al Ferruccio disposto a partire. Il Ferruccio, accompagnato dal nuovo commessario Andrea Giugni e dai capitani che lasciavano alla difesa di Empoli, Piero Orlandini cui lui stesso con fervidissime istanze aveva pi`u volte raccomandato ai Dieci come prode non meno che prudente uomo di arme e della libert`a sviscerato, Tinto da Battifolle, Bocchino Corso e il conte di Anghiari, percorre le file, esaminando se avessero trasgredito in nulla i comandamenti di lui. Affrettati i passi, Il Ferruccio giunse in Volterra il giorno stesso 26 aprile che si part`i da Empoli, trascorsa appena la ventunesima ora: subitamente introduce i fanti per la porta del soccorso nella cittadella; fatti smontare i cavalleggeri e cavare le selle ai cavalli, per la medesima via gli mette dentro.
Ferruccio intanto, quasi il sole non gli avesse riarsa la faccia, il cammino stancate le membra, la fatica e la polvere assetato, taciturno si aggira per le mura della cittadella, specola i luoghi, esamina i muri, nota le archibusiere avverse, poi assente col capo ad una sua interna determinazione e, percotendo della palma aperta il parapetto, esclama: “Pu`o farsi!”