Camminavano fianco a fianco senza parlare, e Constance sapeva perfettamente che Charlie non stava prestando alcuna attenzione alla spiaggia. Quando si trovava in quello stato poteva continuare a camminare senza avvertire la minima fatica, o ripetere solitari all’infinito, oppure guidare per centinaia di chilometri. Quello che non riusciva a fare era restarsene seduto a non fare niente. Era come se dovesse dare un’occupazione al suo corpo, e gettarcisi a capofitto per non rischiare che in quei momenti la parte del suo cervello preposta alle varie funzioni di controllo intralciasse i suoi ragionamenti.
I bambini giocavano sulla sabbia, correvano avanti e indietro con secchielli d’acqua, costruivano castelli, fortini. Qualche adolescente sguazzava beato in mare, ma nessuno di loro nuotava con impegno. Le onde, sebbene il mare si stesse ritirando, erano troppo impetuose, l’acqua troppo fredda anche in agosto. L’aria sapeva di ozono, profumava di buono, di pulito, ed era piacevolmente fresca sebbene il sole fosse caldo. Quanti contrasti, quante contraddizioni, pensò Constance. Incontrarono altre persone che passeggiavano sulla spiaggia, e queste sorrisero, annuirono, li salutarono. Constance rispose a ognuna, mentre Charlie continuava a essere immerso nei suoi pensieri. Alcune delle persone che correvano lungo il mare li raggiunsero e li superarono lasciando sulla sabbia bagnata delle orme profonde, e Constance pensò a come Sherlock Holmes esaminandole sapesse dire l’altezza e il peso di una persona, o riuscisse ad affermare con certezza se trasportava qualcosa o qualcuno.
Rientrarono al ristorante solo pochi minuti prima di Dwight che al suo arrivo si mostrò stanco, irritabile e affamato. Charlie e Constance avevano sete e stavano già bevendo delle birre, e mentre Dwight a sua volta ordinava un panino e una birra, Charlie fece un veloce schizzo su un tovagliolo.
«Ancora niente?» domandò Constance a Dwight.
Dwight scosse la testa. «Oh, una novità c’è» disse con grande amarezza. «Harry Westerman e la moglie mi hanno fatto contattare dal loro avvocato che mi ha ordinato di portare via i miei uomini da Smart House e di lasciare andare a casa quella povera gente.»
«Che sfortuna» disse Charlie senza troppa convinzione. Terminò lo schizzo, lo osservò un istante poi lo girò in modo che Dwight potesse vederlo.
«Guardi» disse Charlie indicando tre rettangoli. «Questo grosso affare è l’ascensore principale, accanto c’è quello segreto, e l’ultimo piccolo pozzo è per il montavivande. Nonno, papà e bambino, uno accanto all’altro.»
In quel momento l’atteggiamento di Charlie era talmente compiaciuto da risultare insopportabile, pensò Constance guardando alternativamente il marito e Dwight Ericson che invece sembrava aver indossato una maschera impenetrabile.
«Qui in fondo abbiamo la cella frigorifera» continuò Charlie. «Nella cella frigorifera c’è un’atmosfera controllata. Quindici per cento di ossigeno, un per cento di anidride carbonica e così via, tutto debitamente monitorato con allarmi e valvole di scarico nel caso in cui la situazione andasse fuori controllo. Il basso livello di ossigeno e l’alto livello di biossido di carbonio sono dati preimpostati e quindi non fanno scattare alcun allarme. E qui» disse indicando un punto con un piccolo scarabocchio «c’è un’apertura che va dal pozzo più piccolo, quello del montavivande, a quello dell’ascensore segreto, un buco di un paio di centimetri nel muro in basso. Praticamente tutta la tromba del piccolo ascensore segreto diventa parte del sistema ad atmosfera controllata della cella frigorifera.»
Dwight Ericson scuoteva la testa. «Abbiamo fatto dei calcoli, Charlie. Ci sarebbe voluto troppo tempo per saturare di biossido di carbonio un ambiente così grande o per aspirarne l’ossigeno. Nessuno di loro si è allontanato per un tempo sufficiente a compiere una simile operazione. E cosa pensa che abbiano fatto là dentro Gary e Rich, che abbiano semplicemente incrociato le braccia aspettando di morire per una o due ore? Avrebbero fatto un putiferio, e lei lo sa. Qualcuno li avrebbe sentiti urlare o battere sui muri.»