Читаем La casa che usside полностью

Charlie finì nella camera di Laura e Harry. Diede un’occhiata al bagno e vide che era quasi identico a quello della sua stanza. La camera da letto, invece, era molto diversa. C’erano due letti, uno scrittoio, delle comode sedie e una libreria con dei bei libri e dei reggilibri di cristallo come anche i portacenere. Dentro a uno di questi c’erano delle graffette e due mozziconi di sigaretta. Charlie sapeva che appartenevano certamente a Laura, Harry non avrebbe mai messo a repentaglio la sua salute in quel modo. Sparpagliati sul tavolo da toeletta c’erano le solite spazzole e i prodotti di bellezza, oltre a due belle lampade; anche queste con la base di cristallo. La stanza aveva un’aria sfarzosa. In quella sua e di Constance, invece, l’uccello, il portacenere e le lampade erano cloisonné. Ogni stanza era stata arredata con cura, con raffinati accessori, a quanto pareva tutti diversi. "Un vero buco nero" pensò Charlie, e il termine stava assumendo sempre più significato.

Controllò la porta scorrevole, eliminò l’ultimo spiraglio di luce che filtrava tra le tende e aspettò di udire il rumore dello sparo. Un minuto dopo sentì bussare leggermente alla porta. Quando Constance entrò, scossero entrambi la testa.

Diede uno sguardo alla stanza, annuì in segno di approvazione e uscirono in corridoio ad aspettare Dwight Ericson che arrivò poco dopo con un’espressione estremamente delusa.

«Avete già portato via qualcosa dalla stanza di Milton?» domandò Charlie.

«No. Vuole dare un’occhiata?» Li condusse lungo il corridoio sino alla stanza numero tre, la porta accanto a quella di Beth che si trovava prima delle scale. Oltre le scale c’era la camera di Gary. Entrarono nella stanza e un poliziotto in divisa si alzò da una sedia a schienale alto guardando Dwight Ericson in attesa di ordini. Dwight gli fece segno di tornare a sedersi. La stanza, anch’essa diversa dalle altre, aveva pareti color avorio con intense sfumature mogano che emergevano qua e là, una moquette verde scuro e copriletti di un verde più chiaro. Gli accessori erano di rame lucido. Uno dei letti era stato preparato per la notte. Un pigiama di seta bianca lucente e una vestaglia in coordinato spiccavano sul copriletto verde. Una valigetta era appoggiata sull’altro gemello; sulla scrivania c’erano dei fogli, un portacenere di rame con un mezzo sigaro fumato e della cenere.

Appoggiati sulla scrivania inoltre c’erano anche un bicchiere con un dito d’acqua e un assortimento di penne e matite. Alcuni fogli erano impilati ordinatamente, altri erano sparsi sul tavolo come se Milton li avesse sfogliati più volte. La disposizione delle due spazzole e del pettine allineati con cura sul tavolo da toeletta rivelavano un ordine quasi militare, e lo stesso poteva dirsi di ciò che si trovava in bagno o nell’armadio. Un irritante pignolo che trattava con rispetto i propri oggetti personali, che amava l’ordine, fumava poco, beveva poco, sapeva di assomigliare a una star del cinema ed era morto troppo giovane. Charlie sospirò.

«Mi sono sentito esattamente così dopo aver esaminato la stanza, completamente disorientato» disse Dwight dando un ultimo sguardo in giro. «Non era ancora andato a dormire, stava lavorando ed è uscito finendo per farsi sparare e buttare nell’oceano. Qualcuno deve aver bussato alla sua porta, o forse l’assassino è stato colto di sorpresa dalla passeggiata a tarda notte di Sweetwater sul ciglio della scogliera, o magari aveva un appuntamento proprio laggiù.»

«Come avete fatto a entrare? Sweetwater aveva detto che avrebbe sbarrato la porta. Io per esempio nella nostra camera ho usato una sedia.»

«Credo che il problema non si sia nemmeno posto, siamo semplicemente entrati. Pensa che Sweetwater sia uscito dalla porta scorrevole del balcone?»

«In questo momento non credo un accidenti di niente» borbottò Charlie. Sentì le dita invisibili di Constance tra le scapole e la guardò. Constance era in piedi accanto alla porta, lontana da lui, ma Charlie aveva comunque avuto la sensazione della sua mano sulla schiena.

Constance scosse leggermente la testa, infastidita come lui da qualcosa che non le quadrava, e che non riusciva a identificare. «Avete rilevato le impronte in questa stanza?» domandò lentamente.

«E a quale scopo?» ribatté Dwight Ericson. «Anche se trovassimo delle impronte non significherebbe nulla. Chiunque avrebbe potuto entrare e uscire liberamente da una stanza all’altra.» È tutto troppo pulito «disse Constance.» Più pulito persino della nostra camera. Le pare possibile che Sweetwater si sia messo a lustrare ogni cosa? E se non ci fosse nemmeno un’impronta?

Dwight lece segno al poliziotto assegnato a quella stanza di avvicinarsi. «Fai venire qui Petey.» Appena l’uomo si fu allontanato, domandò a Constance: «Cosa le fa pensare che non ce ne siano?» Lanciò uno sguardo astioso alla camera come se per lui costituisse un oltraggio.

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