Читаем La casa che usside полностью

L’aria era fredda, umida e opprimente. Le luci al neon facevano assumere alle labbra un colore violaceo, e alla pelle un colore verdognolo e malsano. Constance rabbrividì e si strinse le braccia intorno al corpo. La prima volta quel luogo non l’aveva colpita particolarmente, mentre adesso aveva la sensazione che l’aria stessa nascondesse una nuova minaccia, e questo perché ora sapeva che l’assassino si trovava in quella casa. Charlie affrettò il passo e scese velocemente le scale, attraversò la stanza fino al montavivande. Constance pensò che anche lui doveva avvertire il suo stesso senso di oppressione. Charlie esaminò la porta del montavivande, la aprì e osservò l’interno della cabina, un cubicolo di acciaio inossidabile senza alcun elemento o particolari di rilievo. Appoggiò a terra un ginocchio, passò la mano sul pavimento della cabina e sui punti di congiunzione delle pareti, poi arretrò con un’aria corrucciata.

«Cosa stai cercando?» gli domandò Constance rabbrividendo.

«Non lo so ancora con certezza. Se lo mando su la porta si blocca automaticamente. Mi chiedo se…» Prese il coltellino tascabile, lo aprì, e con una mano lo tenne premuto contro l’intelaiatura della porta mentre con l’altra schiacciò il tasto di chiusura. La porta si chiuse contro la lama del coltello e Charlie cercò di forzarla senza riuscire a farla riaprire. Borbottò qualcosa a bassa voce e si guardò intorno. «Potresti portare qui uno di quei carrelli? Penso che in questo punto ci sia il sensore.»

Constance portò il carrello. Charlie premette il pulsante di apertura, la porta si aprì senza difficoltà e Charlie tolse la lama del coltello. «Ora vediamo se riesco a ingannare il meccanismo» disse. Rovesciò il carrello sul fianco con le impugnature di acciaio posizionate all’estremità dell’intelaiatura della porta, si mise accanto al carrello e spinse con forza. «Prova a far chiudere la porta e a mandare su il montavivande, ammesso che parta.» Si puntò saldamente contro il carrello e continuò a esercitare una pressione costante. Il meccanismo scattò e il montavivande cominciò a salire. «Perfetto!» esclamò Charlie. «Appena smetto di fare forza però potrebbe tornare giù. Dobbiamo cercare di lasciare la presa e contemporaneamente spingere il carrello sotto al pavimento della cabina. Al mio tre. Uno, due, tre, ora!» Charlie lasciò la presa e Constance diede al carrello una spinta energica mandandolo nel pozzo del montavivande. La cabina non cominciò a scendere, e se lo avesse fatto il carrello non sarebbe riuscito a sostenerne il peso, ma se non altro ne avrebbe frenato la discesa, o perlomeno fu questa la conclusione a cui giunse Charlie con una certa soddisfazione. Sorrise a Constance, si frugò in tasca in cerca della torcia portabile, si chinò appoggiando nuovamente un ginocchio a terra per guardare dentro al pozzo del montavivande.

Quando esaminò le pareti laterali fu ancora più soddisfatto. Allora avanzò un poco sporgendosi ulteriormente per dare un’occhiata più da vicino al muro di fondo, quello che confinava con l’ascensore segreto. Si era convinto che quell’ascensore fosse stato realizzato in un secondo tempo, e ora ne aveva la certezza. Quel muro era stato riposizionato, rifatto. Rispetto ai muri laterali non raggiungeva la stessa perizia nella fattura e nella rifinitura, e c’era persino una sorta di buco in fondo. Insomma, era piuttosto malfatto, pensò Charlie, e là dentro faceva anche maledettamente freddo. Si rammentò quanto lo avesse colpito l’aver trovato un muro tanto freddo la prima volta che aveva ispezionato l’ascensore segreto. In una casa così ben costruita come Smart House quel particolare era incomprensibile, e lui era stato stupido a non dare seguito a quell’intuizione. "Stupido! Stupido!" ripeté silenziosamente, e si accorse che quelle che stava fissando erano le sue dita, e in quel momento parevano incapaci di reggere saldamente la torcia. Aveva la sensazione che le dita fossero disgiunte dal resto del corpo, che fossero troppo grandi. Cercò di guardare la mano per verificare se ci fosse qualcosa che non andava, ma quell’operazione sembrava richiedergli uno sforzo eccessivo. Anche i suoi occhi erano disgiunti dal resto del corpo, pensò divertito da quell’idea.

Constance si era sporta per vedere cosa stesse guardando Charlie, ma la fatica era diventata troppo grande per lei. Si accorse che la testa stava cominciando a pesarle eccessivamente ed ebbe paura che potesse diventare così pesante da trascinarla a terra. S’immaginò riversa sul pavimento della cella frigorifera, ogni minuto sempre più fredda, irrigidita dal gelo prima che qualcuno la trovasse e…

Di colpo Constance si raddrizzò e inspirò a fondo. Era stordita, gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco gli oggetti.

«Charlie!» gridò. «Charlie!»

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