Читаем La casa che usside полностью

Charlie lo seguì in silenzio, immerso nei suoi pensieri. Avrebbero trovato dei solchi di ruota che ora avrebbero assunto un significato diverso rispetto a quella mattina, forse un paio di piante spezzate che in precedenza nessuno aveva notato, e con un po’ di fortuna anche una macchia di sangue. E infatti così fu. Trovarono le tracce delle ruote, una pianta spezzata e persino una minuscola macchia che sembrava sangue, ma sarebbero stati i test di laboratorio a determinarlo con certezza.

17

Prima di lasciare Dwight a sovrintendere alla rimozione della sezione di tavolato del balcone, Charlie gli disse: «La pistola salterà fuori. Se fossi in lei direi ai suoi uomini di cercare di nuovo nella camera di Maddie Elringer e nella sua auto.» Un lampo di soddisfazione balenò per un istante nei chiari occhi di Dwight.

«Già, avrebbe potuto spostarla più volte. A tra poco, Charlie.»

Charlie attraversò lentamente la veranda e raggiunse la porta a vetri scorrevole dove Constance lo aspettava. Appena entrato, la moglie gli prese la mano.

«Che ne dici di un caffè al bar del giardino, magari con dentro un goccio di qualcosa un po’ più forte della caffeina?» gli domandò Constance.

«Dove sono gli altri?»

«Nella sala tv o nella biblioteca. Sono in fermento. Mi sono trattenuta un attimo con loro ma me ne sono andata subito, c’era un’aria troppo elettrica per i miei gusti.»

«Andiamo al bar» disse Charlie con enfasi. «Hai visto?» le domandò indicando la veranda.

«Ho visto abbastanza per immaginare quello che non ho visto. È una vera follia, non credi?»

Raggiunsero il bar dove Constance aveva già preparato tazze e caffè. Mentre Charlie guardava la piscina turchese in fondo alla stanza con un’espressione accigliata, Constance versò il caffè. La cascata sollevava schizzi e brillava sotto la luce del sole, che filtrava attraverso la cupola di vetro. L’aria era opprimente e sapeva di cloro e gardenie. Cercò tra le bottiglie e prese del cognac, ne aggiunse una dose terapeutica al caffè di Charlie insieme a un cucchiaio di zucchero, lo assaggiò e fece scivolare la tazza dall’altra parte del bancone.

Restarono seduti in silenzio per parecchi minuti, finché Charlie borbottò: «Milton è in camera sua a sfogliare delle carte con il sigaro acceso. Sente bussare leggermente alla finestra, apre la porta scorrevole e fa entrare l’assassino. Milton sa qualcosa, ma probabilmente non se ne rende nemmeno conto. L’assassino inizia a parlare, poco dopo tossisce per il fumo e propone a Milton di continuare la conversazione sul balcone. Prende dalla stanza qualcosa di pesante e lo porta fuori con sé. Suggerisce di allontanarsi dalle porte, anche perché la camera di Beth è lì accanto e potrebbe sentirli. Arrivano sino alle scale e l’aggressore colpisce Milton in testa uccidendolo all’istante. Il sigaro cade ma sul momento l’assassino non se ne accorge. Corre indietro, toglie un lenzuolo dal letto, ritorna da Milton e riesce più o meno ad avvolgerlo, trascina il corpo fino al pianerottolo spostandolo dalla balconata in modo che nessuno lo possa vedere. C’è nebbia ed è improbabile che qualcuno sia andato a fare due passi, e anche se qualcuno avesse deciso di uscire a fare una passeggiata sul balcone, non avrebbe visto nulla. Fin qui tutto bene.»

Charlie assaggiò il caffè e parve sorpreso. «Questo caffè è favoloso!» disse soddisfatto, e ne bevve un altro sorso. «L’assassino risale sul balcone, vede quel dannato sigaro e lo raccoglie. Avrebbe potuto semplicemente buttarlo via, invece lo porta con sé. Sta allestendo una messinscena e il sigaro ne fa parte.» Charlie fece una pausa, socchiuse gli occhi immerso nei suoi pensieri e sorseggiò dell’altro caffè. «Torneremo su questo particolare» disse infine. «Rientra in camera di Milton e vede che il letto è sfatto. Riordina il letto, quello a cui manca un lenzuolo, ci appoggia sopra la valigetta di Milton, prepara per la notte l’altro letto ma commette un errore. Come tu hai notato, infatti, non toglie il copriletto. Mi sembra che questa ricostruzione sia verosimile, passiamo alle impronte» disse. «Le impronte… Non dovrebbe averne lasciate molte né sulle lampade, né sul portacenere o sui soprammobili di rame. Perché pulire tutto allora?» Restò nuovamente in silenzio poi espirò lentamente e disse: «Ha dovuto cancellarle perché non c’erano le impronte di Milton su quegli oggetti.»

Charlie tacque e questa volta restò immobile con lo sguardo perso nel vuoto. Constance versò a entrambi dell’altro caffè e aspettò. Sapeva che era inutile chiedergli qualcosa adesso. In quel momento Charlie si stava ponendo una serie di domande a cui cercava di dare delle risposte, probabilmente le stesse domande che gli avrebbe fatto lei.

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