Bruce guardò prima Charlie e poi Dwight con un’espressione infuriata. «Brutti stronzi, state cercando di incolparmi anche di questo, vero? Non ci riuscirete! È per questo che ho iniziato a compilare l’inventario, per provare che qui qualcuno ha le mani lunghe. Quando sono arrivato a Smart House la prima volta, quella balena era in camera mia. Ho notato il soprammobile, ho guardato il prezzo sull’inventario e mi sono reso conto che quell’affare sarebbe stato una tentazione per qualcuno, così ho iniziato a redigere la lista. Ogni camera aveva qualcosa di simile, qualcosa di facilmente trasportabile, di costoso, di allettante. E per quale cazzo di motivo?»
«Quando si è accorto che era sparita?» gli domandò nuovamente Charlie con la stessa pazienza di Dwight, ma anche con lo stesso tono incalzante.
«Che ne so. A giugno, a luglio, a un certo punto quando sono tornato quest’estate. Non c’è più, capito? Chi cazzo può sapere cos’altro mancherà adesso?»
«E quando è ritornato ha aggiornato l’inventario della sua camera?»
«Ci può scommettere che l’ho fatto! E l’ho aggiornato anche questa volta!»
«Stupendo» disse Charlie soddisfatto, e ritornò a rilassarsi sulla sedia.
Proprio mentre Bruce e Howie uscivano, entrò uno degli uomini di Dwight Ericson. Il nuovo arrivato era un altro zelante agente in uniforme. Fece un saluto militare e Dwight lanciò uno sguardo imbarazzato a Charlie.
«Credo che abbiamo trovato la bruciatura» disse il giovane poliziotto. Dwight e Charlie balzarono in piedi. «Quantomeno c’è il segno di una bruciatura sul balcone, e sembra recente. Penso non ci sia modo di saperlo con certezza.»
«Oh, che fortuna sfacciata» sussurrò Charlie. «Che nessuno la tocchi! Sono ancora tutti nella biblioteca o nella sala tv?»
Il poliziotto si comportò come se quella situazione, in cui uno sconosciuto faceva domande e dava ordini, fosse stata assolutamente normale. Senza alcuna esitazione rispose che si trovavano ancora là.
«Si assicuri che ci restino» disse Dwight. «Andiamo a dare un’occhiata.»
Il segno era appena visibile, una macchia rossa sull’asse di legno del balcone. Quando Charlie vide che Dwight si stava avvicinando troppo lo trattenne istintivamente.
«È un esperto di bruciature?» gli domandò Dwight con un certo sarcasmo, e per una volta la sua irritazione ebbe il sopravvento sul tono paziente che era riuscito a mantenere fino a quel momento.
«Oh, sì» disse Charlie a bassa voce. «Eccome.» Ispezionò l’area a una trentina di centimetri dal bordo del balcone, nel punto in cui il pavimento era stato tagliato e incominciavano le scale che scendevano al livello del terreno. La ringhiera arrivava all’altezza della vita e aveva una sbarra intermedia di protezione. Il balcone era largo quattro metri e mezzo ma si stringeva alle estremità, là dove cominciavano le scale. Il punto in cui si trovavano, infatti, misurava tre metri, e le scale un metro e mezzo. La finestra più vicina era quella dell’appartamentino di Gary Elringer. Reputandosi soddisfatto da quella prima generica valutazione dell’ambiente circostante, Charlie appoggiò un ginocchio a terra e studiò con maggiore attenzione il segno della bruciatura, si chinò e la odorò. Si alzò e guardò Dwight.
«È qui che è stato colpito in testa ed è caduto il sigaro. Penso che riuscirà a raccogliere abbastanza cenere da costituire un reperto, nella venatura del legno ne è rimasta un po’.»
Dwight lo guardava con un’aria vacua. «Lei è un esperto di incendi, vero? L’ho letto da qualche parte.»
Charlie annuì. «È stato il mio lavoro per molti anni. Per moltissimi anni.» Si voltò a guardare il mare con l’odore di bruciato ancora nel naso e troppi ricordi che emergevano dalla sua memoria, troppi incendi che avvampavano nella sua mente. «I suoi tecnici sono in grado di occuparsene?»
«Sì. Taglieremo via la sezione, ma prima useremo un aspirapolvere.» Dwight cominciò a dare ordini ai suoi uomini.
Con lo sguardo perso nell’oceano luccicante, Charlie pensò ai tanti odori del fuoco. L’incendio senza acqua né prodotti chimici produceva un odore ben definito, autunnale. Poi c’era l’odore ripugnante della plastica, delle fibre e dei prodotti chimici, un odore di legno bagnato, pittura e materiale isolante… Il fuoco freddo era ancora peggio. Senza fiamme né calore, bruciava pian piano emanando vapori tossici, il fetore peggiore in assoluto. Poi arrivavano i muratori, sigillavano tutto e si diffondeva un nuovo odore, un odore dolciastro, simile alla decomposizione, e infine c’era il riflesso del materiale sigillante, un pallido colore bluastro con un’intensa patina di vernice…
«Andiamo giù a dare un’occhiata» gli disse Dwight.