Читаем La missione di Sennar полностью

Sennar si fece spiegare come funzionava l’organizzazione politica di Zalenia. Ogni gruppo di ampolle era retto da un conte, una sorta di sovrano assoluto con tanto di esercito personale. Il conte riscuoteva anche tributi, che in parte era tenuto a versare al re. Quel che restava poteva amministrarlo a suo piacimento. Alcuni fortunati vivevano in ampolle gestite da conti illuminati, che utilizzavano il denaro per migliorare la vita dei propri sudditi, ma molti erano governati da despoti che li vessavano. La massima autorità era il re, che però si interessava poco dei territori più lontani.

In passato le cose andavano diversamente. Non c’era nessun re e la gente si governava da sola. A scadenze fisse, gli abitanti di ogni villaggio si riunivano e prendevano insieme le decisioni più importanti, e lo stesso facevano, per le questioni più generali, gli ambasciatori provenienti da tutte le ampolle. Durò poco. Alcuni tentarono di prendere il potere con la violenza e Zalenia fu sull’orlo della guerra. Per evitare il conflitto, uno degli ambasciatori, il più carismatico, propose di eleggere un re.

«In fondo non ci possiamo lamentare» diceva Ondine. «L’importante è restare in pace. Se capita un conte cattivo, si spera che il suo successore sia migliore. Non può essere sempre tempesta, non credi?»

Il conte si occupava anche della giustizia. Quando le sue guardie catturavano un criminale, lo chiudevano in prigione in attesa del suo giudizio, perché solo lui poteva comminare le pene.

«E se il conte... cosa succede se il conte non arriva?» chiese Sennar preoccupato.

Ondine esitò. «Non credo che questa informazione ti farà piacere.»

«Dimmela lo stesso.»

La ragazza si mordicchiò il labbro. «Se il conte non si fa vivo sono le guardie a decidere della sorte del prigioniero» disse tutto d’un fiato. Subito dopo sorrise a Sennar, per rassicurarlo. «Però non ti devi preoccupare. Sono sicura che il conte ti ascolterà e ti farà parlare con il re. Davvero.»

Sennar sperava che la ragazza avesse ragione. Ma i giorni passavano e del conte non si vedeva neanche l’ombra.

11

Un vecchio nel bosco.

Procedettero al sicuro tra i boschi, lontani dal confine. Nihal non riuscì a ritrovare l’eccitazione e la gioia dei primi viaggi. Tutto ormai aveva il sapore dell’abitudine: le ore a cavallo, i tratti a piedi sui sentieri più impervi dove bisognava condurre l’animale per le redini, i pasti silenziosi consumati senza alzare il capo dalla ciotola. Forse se fosse stata sola con Laio avrebbe chiacchierato, ma con quel soldato al seguito l’atmosfera non era delle più amichevoli.

Mathon doveva avere sei o sette anni più di lei, ma era cupo e taciturno quanto un vecchio burbero. Parlava di rado e non sorrideva mai.

«Ha avuto una vita difficile» le spiegò Laio una sera. «Era il bastardo di una famiglia nobile e da piccolo l’hanno abbandonato vicino a una caserma. È stato l’esercito a prendersi cura di lui, per questo è venuto su selvaggio come un lupo. Ne ha passate proprio tante, poveraccio.»

Dopo quella rivelazione, Nihal provò maggiore simpatia per Mathon, ma il soldato continuò a non rivolgerle la parola e lei non fece nulla per socializzare.

Neppure Laio, comunque, era particolarmente ciarliero. Sembrava concentrato sulla sua missione e più riflessivo del solito. Quando lo guardava in viso, a Nihal sembrava di cogliere lineamenti nuovi e una decisione nello sguardo che non gli aveva mai visto. Per Laio la battaglia era già iniziata e lei sapeva che, prima che con Pewar, doveva vincerla con se stesso.

Non passò molto prima che Nihal cominciasse ad annoiarsi. Le giornate scorrevano lente e la ragazza accoglieva con un sospiro di sollievo l’arrivo della notte, quando almeno le ore sarebbero trascorse rapide nel sonno.


Raggiunsero la Terra dell’Acqua in una decina di giorni. La missione, se così poteva essere chiamata, non imponeva fretta e Laio non sembrava ansioso di giungere alla meta. Appena ebbero varcato il confine, il ragazzo si fece ancora più cupo. A quel punto Nihal si disse che, se il suo compito era quello di assistere moralmente l’amico, forse era ora di iniziare a svolgerlo.

«Non devi aver paura proprio adesso» gli disse una sera, mentre il loro compagno dormiva e il fuoco scoppiettava allegro.

«È che sento già il fiato di mio padre sul collo.»

«Sei arrivato fin qui e non è poco. L’ultima volta non ti eri spinto tanto lontano, no?»

Laio sorrise timidamente.

«Tu credi in quello che stai facendo, Laio, è questo l’importante. Andrà tutto bene.»

Quella stessa notte, però, una notte senza luna e senza stelle, Nihal capì di essersi sbagliata. In quei dieci giorni non aveva notato niente di strano, nessun segno che potesse rivelare un pericolo di qualsiasi genere. Si era sentita sicura e fu quella sicurezza a farli cadere in trappola.


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