Читаем La missione di Sennar полностью

«In pace!» ripeté il conte in tono sarcastico. «Voi non siete capaci di vivere in pace. Avete sempre anteposto i vostri interessi personali al bene collettivo. Questa è la vostra ennesima, assurda guerra. Ed è affar vostro.»

«La gente che ho visto morire non pensava al proprio interesse: lottava per tutto il Mondo Emerso, per i vivi e per i morti, per chi era indifeso e per chi era armato. Questa non è una guerra come le altre. È l’attacco di un uomo solo contro tutte le Terre. I nostri popoli sono fratelli, conte. Le nostre Terre sono le Terre in cui sono nati i vostri avi, e i loro desideri di allora sono i nostri di oggi: pace e libertà.» Sennar era rosso in volto e teso verso il suo interlocutore. «Il Tiranno non si accontenterà del Mondo Emerso, credetemi. Se io sono riuscito ad arrivare fin qui, perché non potrebbe farcela anche il suo esercito?» Sennar fece una pausa e riprese fiato. «Vi chiedo solo di poter parlare con il re» mormorò.

Il conte rimase pensieroso per qualche istante, poi si avvicinò alla porta della cella. «Guardia!»

«Pensateci!» urlò Sennar, mentre le sbarre si richiudevano sul suo viso.


Seduto sulla branda, Sennar ripensava all’incontro con il conte. Aveva avuto l’occasione di salvare il suo mondo e l’aveva persa. A che cosa era servito tutto ciò che aveva fatto? I rischi, la speranza, il dolore...

Le sbarre si aprirono piano e Ondine entrò nella cella. La porta sbatté con violenza alle sue spalle e lei restò in piedi, il vassoio tra le mani.

«Ho chiesto alla guardia di farmi entrare.» Arrossì. «Ho pensato che magari... ecco, che stasera ti facesse piacere cenare in compagnia.»

«Scusami, Ondine. Stasera non ho voglia di mangiare» disse il ragazzo con una smorfia.

«Non ti abbattere, Sennar» esclamò lei con slancio. «Hai convinto me, perché le tue parole non possono aver toccato anche il conte?»

Il mago sorrise. In fin dei conti era felice che Ondine fosse lì, davanti a lui, e non dietro le pesanti sbarre della cella. Le si avvicinò. «Grazie per tutto quello che fai per me» disse, poi le sfiorò i capelli.

Ondine reagì con un sussulto, ma non si spostò.

Nonostante avesse lo stomaco serrato, Sennar mangiò. Era grato a Ondine, perché lo aveva aiutato, perché gli aveva dato fiducia, perché era lì a fargli compagnia nello squallore di quella cella.

Parlarono a lungo, come sempre, accoccolati sulla branda. Le loro parole salutarono gli ultimi raggi di luce e inaugurarono la notte degli abissi.

Quando si fece buio, Ondine si alzò. «È tardi, devo andare.»

Sennar rimase seduto. Non voleva restare solo, non quella notte.

Ondine si chinò su di lui in modo da poterlo guardare negli occhi. «Hai fatto del tuo meglio. Gli dèi ascolteranno le tue preghiere e le esaudiranno» disse. Gli diede un bacio sulla guancia.

Sennar le afferrò una mano e la trattenne.

«Ti prego, Sennar...» sussurrò la ragazza, ma il mago la attirò a sé, la strinse come se non avesse altro al mondo.

Ondine ricadde sulla branda e si lasciò andare a quell’abbraccio. Sennar ne sentì il profumo, il corpo tiepido. La baciò con forza e lei rispose, lo seguì come se non attendesse altro che quel momento. Sennar non pensò più a nulla. La bocca si fece avida, le mani corsero al corpetto.

Che cosa sto facendo? Si staccò di scatto, rosso in volto, e Ondine saltò giù dalla branda e si guardò intorno per accertarsi che nessuno li avesse visti, mentre si aggiustava il vestito stropicciato.

«Perdonami» mormorò Sennar.

La ragazza prese in fretta il vassoio e chiamò la guardia. Poi le sbarre si aprirono e lei scomparve nell’oscurità.


Quella notte Sennar non dormì molto e quel poco fu tormentato dai sogni: scene di guerra, suo padre, Nihal ferita. Poi Ondine che gli sorrideva, la sua bocca, la morbidezza del suo corpo.

Quando il soldato lo svegliò, gliene fu quasi grato.

«Preparati, partiamo» intimò la guardia.

Il mago si alzò di scatto. Era già arrivata l’ora dell’esecuzione? «Dove andiamo?» chiese con voce tesa.

«Dal conte. Vuole vederti.»

Forse da qualche parte c’erano davvero degli dèi che vegliavano sulle loro creature. Sennar fu pronto in pochi minuti. La guardia gli assicurò pesanti ceppi ai polsi e lo trascinò fuori dalla prigione.

La via era affollata. Tutto il villaggio si era radunato per vedere lo straniero venuto da lontano.

Dopo tanti giorni in cella, Sennar non era più abituato alla luce. Gli bruciavano gli occhi, i polsi incatenati gli dolevano, eppure si sentì rinascere.

Avevano appena lasciato il villaggio, quando udirono una voce femminile che li chiamava.

Sennar ebbe un sussulto. «Ondine...»

La ragazza correva verso di loro a perdifiato.

La guardia, lancia in resta, la obbligò a fermarsi. «Cosa vuoi?»

«Dove lo stai portando?»

«Non sono affari tuoi, sgualdrinella.»

A quelle parole, Sennar sentì montare la rabbia. Si trattenne a stento; non era il momento di ficcarsi nei guai. «Vado dal conte, non preoccuparti...»

La guardia gli diede un violento strattone e lo costrinse a riprendere il cammino.

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