Читаем La missione di Sennar полностью

Laio apparve dopo un po’. I panni del guerriero non gli si addicevano. Indossava una giubba in pelle e stivali di cuoio che arrivavano a mezza coscia. In mano aveva una lunga spada dall’elsa elaborata. Nihal se la ricordava; era in bella vista nel salone dove aveva scelto il pugnale.

Laio aveva la fronte corrugata e gli occhi stretti in una fessura. Forse suo padre lo credette concentrato, ma Nihal conosceva quell’espressione: era triste perché doveva impugnare la spada e combattere, perché doveva rivivere il terrore della battaglia, perché quello non era il suo posto.

Il ragazzo prese posizione nell’arena e il suo contendente lo salutò con la spada. Laio non rispose e si voltò verso il padre. «Non è così che mi piegherai.»

«Taci e combatti» rispose Pewar, in tono quasi annoiato.

«Te lo ripeto ancora, non voglio.»

La voce di Pewar fu un tuono che squarciò la cappa di tensione che aleggiava sull’arena: «Mettiti in guardia e battiti da uomo!». Laio rimase al suo posto.

«Attaccalo» ordinò Pewar al soldato.

«Ma generale... non è in guardia...»

«C’è qualcuno che obbedisce ai miei ordini qui dentro? Ho detto attaccalo!»

Il giovane sobbalzò, quindi obbedì e sferrò un fendente dall’alto.

Laio non si mosse e il soldato fu costretto ad arrestare il colpo.

«Chi ti ha detto di fermarti?» Pewar saltò in piedi.

Il soldato era confuso. «Signore, è vostro figlio. Come posso colpirlo?»

«Se non ha il coraggio di battersi non è mio figlio» replicò il generale. «Ricomincia.»

Nihal, dal suo angolo, stringeva i pugni. Non devo intervenire. Laio sa quello che fa e questa è la sua battaglia , si ripeteva, ma sentiva in cuore una furia cieca.

Il soldato riprese l’attacco e colpì Laio di striscio, disegnandogli un taglio rosso sul braccio sinistro.

Laio urlò. Parò di scatto il colpo successivo e iniziò a battersi con foga.

Non era il Laio che conosceva Nihal. I suoi colpi erano precisi e violenti, sembrava un vero soldato.

Le spade si incrociarono a lungo, in un arabesco di parate e attacchi. Nessuno dei due sembrava prevalere. Un paio di fendenti del soldato andarono a segno, ma senza lasciare più che lievi graffi. Anche Laio riuscì a colpire l’avversario un paio di volte, sempre di striscio. La situazione era di assoluto equilibrio.

Dal suo scanno, Pewar osservava soddisfatto. Nel suo sguardo Nihal lesse l’eccitazione della lotta e del sangue, qualcosa che conosceva fin troppo bene e che ora vedeva riflessa negli occhi di quell’uomo spietato. Pewar non ama la battaglia: ama uccidere.

Laio continuava a combattere. I suoi assalti erano sempre più accaniti, i colpi più furiosi. A mano a mano che l’ira gli offuscava la mente, il suo corpo si risvegliava e riportava a galla tutti gli insegnamenti ricevuti all’Accademia. Attaccò più da vicino, cambiando ritmo di continuo, e costrinse il giovane soldato a indietreggiare. Quando lo vide abbastanza in difficoltà, Laio menò un deciso fendente laterale e lo ferì a una gamba. Il ragazzo cadde a terra urlando, mentre un’ampia macchia di sangue imbeveva la terra battuta.

Laio si arrestò all’improvviso e rimase al centro dell’arena, la spada penzoloni in mano. Nello spiazzo risuonò l’applauso del generale.

«Bravo! Bravo!» Pewar si avvicinò al figlio e gli strinse una spalla. «Lo vedi che sai combattere? Lo vedi che sei forte e non lo sai? E ora, uccidilo!»

Il soldato a terra non riusciva a muoversi, la ferita era profonda. Spalancò gli occhi terrorizzato. «Generale...» mormorò.

Laio si sottrasse alla presa del padre e lo guardò, sconvolto. «Che cosa stai dicendo?»

«Che devi finirlo» rispose tranquillo Pewar.

«Ma è a terra! L’ho già sconfitto. Non puoi chiedermi...»

Pewar scosse la testa. «Ti sei mai domandato perché hai tanta paura della battaglia? Eppure sai combattere, l’hai appena dimostrato. Allora?»

Laio non aveva una risposta da dare al padre, non riusciva a pensare a niente. Sentiva solo il respiro affannoso del ragazzo, il rumore delle sue mani che arrancavano nella polvere alla ricerca di una via di fuga.

«Tu hai paura di uccidere, Laio. Ed è una paura normale.» D’un tratto il tono di Pewar si era addolcito, era agghiacciante nella sua pacatezza. «Ma è una paura contro la quale bisogna lottare. Anch’io l’ho provata, ma l’ho scacciata affondando la lama nel petto del primo nemico che ho abbattuto. Così devi fare anche tu. Ammazza questo verme. Solo allora sarai davvero un guerriero. È questo l’unico confine che ti separa dal tuo destino: l’uccisione dell’avversario.»

Laio guardò il ragazzo, il suo volto terreo che gli implorava pietà, il sangue che gli zampillava dalla coscia e si allargava in una pozza. Era stato lui a spargere quel sangue. Lui a infliggere quel dolore.

«No!» urlò, poi gettò la spada a terra, lontano. Quindi spinse via suo padre e gridò ancora: «No!» a voce alta, tonante, tanto forte da farsi male alla gola.

Pewar lo guardò allibito.

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