Nihal provò a declinare l’offerta. «Vi prego, non mettetemi in imbarazzo» mormorò.
«Insisto perché accetti il mio dono. Un tuo rifiuto sarà per me un’offesa.»
Cacciò indietro la stizza. Era lì per aiutare Laio, non per litigare con suo padre. Ma avrebbe fatto volentieri a meno di dover leccare i piedi anche a lui, oltre che a quel damerino di Raven.
Come promesso, dopo cena Pewar accompagnò personalmente Nihal nella sala di cui aveva parlato. Armi di ogni tipo ricoprivano le pareti: balestre, spade, archi, pugnali, mazze ferrate. Nihal non dubitava che quell’uomo sapesse maneggiarle tutte alla perfezione.
La ragazza prese un pugnale semplice e anonimo e Pewar dimostrò di apprezzare la scelta, segno evidente che quell’inutile cerimonia era dettata solo dal formalismo.
«L’ora è tarda, sarete stanchi per il viaggio» disse il generale alla fine.
Nihal fece un rapido calcolo. Tarda? Il sole era calato da neppure due ore!
«Che ognuno si ritiri nella propria stanza» concluse l’uomo, poi rivolse loro un secco saluto e se ne andò.
Nihal fu presa in consegna dal solito servitore taciturno, mentre Laio si diresse verso la sua vecchia stanza con la stessa attitudine dell’agnello che va incontro al lupo.
Il sole era sorto da poco, quando Laio andò a svegliare Nihal.
La ragazza si stropicciò gli occhi. «Sempre così mattinieri, voi della Terra della Notte?»
Laio rispose con un sorriso tirato.
Pewar li attendeva già nella sala da pranzo, seduto all’estremità del lungo tavolo. Era impeccabile, esattamente come il giorno prima, e abbigliato nello stesso identico modo. Non sembrava neppure che fosse andato a dormire.
A tavola c’erano tre scodelle colme di latte di capra e l’immancabile pane nero. Un vassoio di mele piccole e asprigne costrinse Nihal a chiedersi dove accidenti avessero trovato della frutta così in una terra florida come quella dell’Acqua.
Mangiarono in silenzio, poi Pewar si alzò. «A metà mattinata ti aspetta un duello, Laio. Fa’ in modo di essere pronto tra due ore esatte» disse con voce marziale.
Laio alzò la testa dalla scodella vuota. «Che duello?» chiese spaesato.
«Il primo di una lunga serie» rispose secco Pewar. «Stando a quel che mi hai detto, non prendi in mano una spada da parecchi mesi. È tempo di ricominciare a fare pratica. Il tuo addestramento inizia oggi.» Poi il generale si rivolse a Nihal. «Per quanto ti riguarda, puoi tornare al campo di battaglia. Ritieniti congedata da questa casa a partire da domani.»
«Io non ho intenzione di combattere» disse Laio.
«Tra due ore. Puntuale» ripeté Pewar, poi si allontanò.
«Io non voglio combattere!» urlò Laio, ma suo padre stava già per infilare la porta.
Nihal sentì il sangue salirle alle guance e, nonostante tutti gli inviti alla calma che si era ripetuta, si alzò di scatto. «Avete sentito o no vostro figlio?»
Laio la guardò. Nei suoi occhi vi era una tacita supplica, ma Nihal la ignorò.
Pewar si bloccò sulla porta e si voltò lentamente. «Io sono un tuo superiore e tu sei nella mia casa. Chi ti ha autorizzata ad alzarti e a rivolgermi la parola?»
Il cuore di Nihal tambureggiava sotto il corpetto di pelle, le mani che stringevano il bordo del tavolo erano sbiancate. «Vostro figlio non vuole combattere.»
«Nihal...» sussurrò Laio.
Pewar le scoccò un’occhiata gelida. «Ti voglio fuori di qui entro stasera» scandì, prima di uscire sbattendo la porta.
«Mi avevi promesso che saresti stata zitta, maledizione!» la aggredì Laio.
«Sì, ma lui...»
«Questa è la mia battaglia, lo capisci? La mia!»
Nihal sentì l’ira sbollire. «Volevo solo...»
«Giurami che non farai più niente, giuralo.»
Nihal annuì, costernata. Restò in silenzio per qualche istante, a maledire tra sé il proprio caratteraccio. «Andrai?» chiese infine a Laio.
«Non ho altra scelta.»
L’arena interna in cui si sarebbe svolto il duello era l’unica zona della casa di Pewar a essere illuminata. Era un cortile quadrato, posto esattamente al centro della dimora, essenziale come tutto il resto. Il pavimento era in terra battuta, circondato da un porticato. Lì sotto, al riparo dal sole violento d’inizio estate, c’era un seggio di legno massiccio. Pewar vi sedeva tronfio.
Nihal si mise in un angolo, all’ombra. Sperava di non essere notata. Dopo la sua alzata di testa, Pewar non avrebbe certo apprezzato la sua presenza, ma non poteva mancare. Lì, in quel quadrato polveroso, Laio stava per giocarsi il futuro.
L’avversario che avrebbe dovuto affrontare era un ragazzo poco più grande di lui, ma con l’aria del guerriero fatto e finito; probabilmente un soldato semplice costretto dal generale a quella farsa.