«Ammazza me, piuttosto» gridò Laio. Corse a raccogliere la spada e la prese per la lama, ferendosi le dita. La porse al padre. «Se davvero uccidere ti sembra poca cosa, ammazzami. Ma io non diventerò un assassino. Io non sono come te, lo capisci? Io non ucciderò questo soldato, né tornerò a combattere. Io farò lo scudiero, che tu lo voglia o no.»
Laio tacque, il respiro affannato. Il sangue gocciolava lento a terra dalle mani serrate intorno alla lama.
Il generale restò inchiodato al suo posto e Nihal strinse l’elsa della spada, pronta a intervenire.
Il tempo parve fermarsi, poi Laio gettò l’arma a terra. Si diresse a grandi falcate verso il porticato e raggiunse Nihal.
«Andiamo via» disse «riportami alla base.»
Non passò neppure a prendere la sua roba.
Infilò la porta di casa seguito da Nihal e non volle mai più vedere suo padre.
16
Addio al mare.
Potete andare.» Nereo era entrato nella stanza seguito da un nugolo di guardie e da un codazzo di ministri dalle facce tese. I suoi accompagnatori si guardarono perplessi. «Fuori, ho detto!» urlò.
Rimasto solo con Sennar, il re ragazzo si parò davanti a lui, pallido, lo scettro in mano.
Dopo lo scontro con Rodhan, Sennar era stato portato da un mago del posto, ma la sua ferita non si poteva curare con un semplice incantesimo di guarigione.
«È un incantesimo superiore» aveva detto Sennar, con le ultime forze che gli rimanevano. «Un sacerdote dovrebbe essere in grado di...»
Una fitta gli aveva mozzato le parole in bocca. Era come se un fuoco interno gli divorasse le carni. La piaga si estendeva e si irradiava lungo tutta la gamba. Era un sortilegio terribile, frutto della magia proibita. Lo avevano condotto nel palazzo reale, dove il guaritore di corte aveva impiegato una notte intera di preghiere e impacchi per liberarlo dalla maledizione che gli consumava la gamba. Il dolore aveva dato tregua a Sennar solo alle prime luci dell’alba e il mago era finalmente scivolato nel sonno.
Si era svegliato il giorno dopo, in un letto con baldacchino, sotto una coperta di broccato. Si trovava in un’ampia stanza le cui pareti erano ricoperte da un mosaico: piccole conchiglie perlacee di tutte le sfumature del rosa irradiavano una luce tenue e riposante. Da un oblò ogivale si intravedevano le guglie più basse del palazzo.
Sennar aveva passato molte ore in uno stato di semincoscienza. Il volto sorridente di Rodhan lo tormentava, poi vedeva la lancia che lo uccideva e sentiva le parole del soldato: «La guerra è guerra». Era trascorsa così un’altra giornata e ora il re gli stava di fronte.
«Vi devo ringraziare, consigliere.»
«Non ho fatto niente di straordinario» disse Sennar a fatica, ma Nereo lo interruppe con un cenno.
«Vi devo ringraziare e devo scusarmi con voi. Avevate ragione: un pericolo incombeva e non ce ne eravamo accorti.»
Il re iniziò a camminare pensieroso avanti e indietro, mentre il suo scettro batteva ritmicamente al suolo. «Quante forze ha in campo il Tiranno?»
«Molte, Maestà. Centinaia di migliaia di guerrieri. Sembrano inesauribili.» Sennar parlava con voce stanca.
«E le armi?» chiese Nereo, sempre più scuro in volto.
«Tutte quelle note. I guerrieri usano per lo più la spada o la lancia, i fammin danno il meglio di sé con l’ascia.»
Il re si fermò davanti alla finestra. «Credete che verranno?» chiese alla fine.
Sennar guardò la sua figura stagliarsi contro il blu. «Non lo so, Vostra Maestà. Anche per il Tiranno battersi su due fronti sarebbe impegnativo, ma questo non significa che non potrebbe decidere di provarci.»
Il re si voltò e si rivolse a Sennar con voce solenne: «Basta così. Ho deciso di farvi accompagnare in superficie da un ambasciatore. Parteciperà alle sedute del vostro Consiglio e avrà pieni poteri: le sue decisioni saranno le mie decisioni. Sarà lui a stabilire quanta parte del nostro esercito verrà impiegata. Non siete più soli, consigliere». Diede a Sennar un’ultima occhiata decisa, poi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Sennar avrebbe voluto sentirsi meglio, avrebbe voluto godere di quel momento. Ma non ci riusciva. Non era la gamba, e nemmeno la stanchezza che si sentiva addosso. «La guerra è guerra» aveva detto il soldato. L’aiuto che gli veniva offerto non significava la vittoria della pace, ma il trionfo della guerra. E Sennar non poteva fare a meno di pensare che aveva contribuito a far entrare la guerra a Zalenia.
Quando Ondine fece ingresso nella stanza di Sennar, aveva gli occhi rossi e il viso tirato di chi non ha dormito. Aveva dovuto aspettare tre giorni prima di ottenere il permesso di incontrarlo. Ora le guardie erano diventate sospettose e Sennar era considerato un facile obiettivo.
Si sedette sul letto, agitata. «Che cosa ti hanno fatto?»
«È tutto passato» la rassicurò Sennar.
«Le notizie che mi arrivavano erano così confuse! C’era chi diceva che eri morto, chi sosteneva che ti avrebbero tagliato una gamba... È stato terribile, Sennar. Ho creduto di impazzire.»