Nihal restò sola nella penombra. Molti Cavalieri prima della nomina si facevano un tatuaggio, era una specie di tradizione. Naturalmente fioccavano le leggende sull’atroce dolore che bisognava sopportare e parecchi si erano divertiti a spaventarla. Ido, invece, era stato laconico. «Ci manca solo quello» aveva detto, e con quelle quattro parole aveva sancito tutta la sua disapprovazione. Ma ormai era fatta, era inutile avere paura: qualche minuto e sarebbe finita.
Quando il tatuatore tornò, aveva tra le mani un coltello sottile e affilato e una serie di ciotole piene di pigmenti colorati. «Dove lo vuoi, questo tatuaggio?» chiese con un sorrisetto ambiguo.
Tutti così, quelli che incontrava: o non la prendevano sul serio, oppure iniziavano a guardarla con quello sguardo laido. Nihal sbuffò e sguainò piano la spada. Il suo riflesso nero percorse il volto dell’uomo che le stava davanti. Il tatuatore cambiò immediatamente espressione.
«Solo per ricordarti che quest’arma non è qui per bellezza» disse Nihal con tutta calma. «Ora veniamo a noi. Il tatuaggio lo voglio sulla schiena, per cui adesso mi spoglio. Tu invece ti giri e non ti volti finché non mi sono sdraiata su quel tavolo. Sono sicura che sei una brava persona, ma la prudenza non è mai troppa. Tutto chiaro?»
L’uomo deglutì in silenzio e fece un cenno col capo.
«Perfetto. Girati.»
«Che tatuaggio vuoi?» chiese l’uomo, mentre le dava la schiena. Gli tremava la voce e a Nihal venne quasi da ridere.
«Due ali di drago, una per spalla. Chiuse.»
«Perché chiuse?»
«Perché quando sarà il momento le spiegherò al vento e volerò via. Puoi girarti, ora.»
Prona sul tavolo, la schiena nuda, Nihal sentì l’uomo avvicinarsi e passarle un panno caldo sulle spalle. Si accorse che il cuore le batteva forte e si maledisse per quella stupida paura. Infine vide il coltello e la punta già nera di inchiostro. Strinse gli occhi e sentì la lama inciderle la pelle.
Uscì dalla capanna felice. La schiena era indolenzita e la ferita le bruciava, ma ora aveva le sue ali. Non restava che capire quando si sarebbero spalancate.
Quando arrivò alla base, trovò Ido ad attenderla sulla porta. «Dove sei stata?» chiese, tra un tiro di pipa e l’altro.
Nihal preferì rimanere sul vago. «In giro.»
«Tu non me la conti giusta» rispose lui, dopo averla scrutata a lungo.
«Ido, a volte ti comporti come se fossi mio padre!»
Lo gnomo sorrise. «Vieni dentro, forza, che dobbiamo parlare.»
Nihal lo seguì e lui la fece sedere.
«Allora, ti senti pronta per la cerimonia di domani?»
Nihal divenne seria. «Credo di sì» disse. “Credo” era la parola giusta.
«Bene, allora sarai pronta anche per questo» disse Ido, poi sparì dietro la porta della stanza accanto.
Ricomparve poco dopo con un fagotto di iuta, sotto il cui peso le sue gambe corte si piegavano. Lo buttò sul tavolo mentre Nihal lo fissava con uno sguardo interrogativo.
«Questo è per te, dacci un’occhiata» disse con apparente noncuranza.
Nihal toccò l’involucro, incuriosita. Sentì alcune forme strane e qualcosa di duro. Poi lo aprì, ma il sacco era tanto grande che dovette infilarci la testa dentro per capire che cosa contenesse. Quando uscì, scapigliata, sul suo viso era dipinta un’espressione incredula.
«Ora sei un Cavaliere e non mi sembra molto decoroso che te ne vada in battaglia conciata come un mendicante» borbottò lo gnomo, quasi imbarazzato. Era la prima volta che faceva un regalo.
Nihal iniziò a svuotare il sacco: c’erano una corazza splendente, un paio di spallacci, un elmo e due gambali. Erano tutti di cristallo, nero come la notte e lucente di terribili bagliori. Come la sua spada. La corazza era levigata a regola d’arte e dalla parte bassa della vita partiva un fregio: rappresentava un drago ritorto su se stesso, che con mille volute si arrampicava su per il busto fino all’altezza del petto, dove troneggiava la testa; la bocca spalancata sputava due fiotti di fiamme che si avvolgevano intorno al profilo dei seni. Gli spallacci erano foggiati come due teschi di drago, i denti aguzzi sprofondati nella linea delle spalle. Sui gambali tornava il motivo delle fiamme. Infine, l’elmo aveva due grossi spuntoni che partivano dai lati del capo.
Nihal la guardò senza parole. Era la sua armatura.
«L’elmo l’ho fatto fare in modo che non ti dia fastidio sulle orecchie. È leggera, sai, non dovrebbe impacciarti nei movimenti» spiegò Ido, ma Nihal continuava a tacere. «Di sicuro tuo padre avrebbe fatto qualcosa di più bello e grandioso, ma spero che ti piaccia e che ti ci trovi bene a combattere e... oh, al diavolo!» imprecò alla fine.
Nihal gli saltò al collo e lo abbracciò stretto. Era più di quanto potesse sperare, era un regalo meraviglioso, era la prova della stima che Ido nutriva per lei. Le vennero le lacrime agli occhi. «Grazie, grazie...» continuava a ripetere.
Ido la allontanò. Aveva gli occhi un po’ lucidi. «Se speri di farmi piangere come una femminuccia ti sbagli di grosso, sappilo» brontolò, poi scoppiò a ridere e Nihal rise con lui.