«Posso chiederti una cosa?» chiese Laio a un tratto. La sua voce era seria.
La ragazza si mise sulla difensiva. «Che cosa?»
«Perché ti sei voluta mettere in questa situazione?»
«Non capisco cosa intendi» rispose lei con finta noncuranza.
«L’ultima volta che sei partita all’attacco di Dola, ne sei uscita mezzo morta. Che cosa stai cercando? Che cosa vuoi dimostrare?»
«Sei d’accordo con Ido, Laio?» chiese Nihal innervosita.
Laio scrollò le spalle. «No, Nihal. No.»
Quando all’accampamento nel bosco di Herzli videro arrivare una truppa comandata da una donna, qualcuno perse le staffe, qualcuno rise, qualcuno abbandonò ogni speranza.
In giro per l’accampamento si respirava aria di morte. Tutto sembrava stinto, come un cielo lavato da troppa pioggia. C’erano una ventina di tende, tutte dello stesso identico, indefinibile e fangoso colore. C’erano molti feriti, e chi stava bene sembrava mortalmente stanco. Non c’erano né donne né bambini, solo uomini nella solitudine della guerra.
Il generale accompagnò Nihal in un giro di ricognizione. Sembrava uno che avesse visto troppo in vita sua. Era magro, neppure troppo anziano, a giudicare dal corpo atletico. Ma il viso era segnato da molte rughe, le spalle erano sempre curve, gli occhi grigi e spenti. Un uomo stanco della guerra r del sangue, un uomo stanco della vita. Si presentò come Mavern.
La zona non era certo il campo di battaglia ideale. Nihal non aveva mai combattuto nella macchia e il bosco era fitto. Se lo ricordava, quel bosco: lo aveva attraversato quando era fuggita da Salazar in fiamme. Se tendeva l’orecchio, poteva sentire il rombo possente del fiume Saar.
Infine giunsero in cima a una collina, da dove Nihal ebbe un quadro chiaro della situazione: parte del bosco sembrava quasi scorticata e ferite di nuda terra lo segnavano come piaghe. Si dipartivano da un nucleo nero centrale: la base dello schieramento nemico. Era un accampamento ordinato, con una tozza torre al centro. La maggioranza dei fammin stava in quella zona, ma si intuiva che parecchi erano celati nel folto.
«L’accampamento c’era già. Ed era nostro, fino a una settimana fa. La torre l’ha fatta costruire Dola: è la sua residenza, sua e di quell’infernale mostro nero. Sono due giorni che ci si è asserragliato. Non si muove, non attacca, niente. Aspetta» disse il generale.
Dunque era lì. L’uomo che aveva raso al suolo la sua città era lì.
«Vorrà dire che saremo noi a stanarlo» concluse Nihal.
Il generale non acconsentì tanto facilmente. I suoi uomini erano reduci da un duro scontro, le perdite erano state ingenti e c’erano troppi feriti.
«Siamo pochi e sfiniti: non c’è speranza di vittoria.»
«I miei uomini sono freschi» ribatté Nihal.
«È una follia, Cavaliere.»
«Domani notte non c’è luna, li attaccheremo nel sonno. Di Dola non dovete preoccuparvi: non sfiorerà nemmeno uno dei vostri uomini. Pensate solo a calare sul campo e occupatevi dei fammin. Ma dovrete essere fulminei, perché la sorpresa è tutto quel che abbiamo.»
Il generale la guardò scettico.
«Vi giuro che il campo tornerà nostro» disse Nihal.
La giornata seguente trascorse tranquilla, ma Nihal sapeva bene di aver millantato con il generale una sicurezza che non aveva. Se ne andò nel bosco da sola e lasciò a Laio l’incombenza di lucidarle la spada e preparare l’armatura. Si allontanò abbastanza da non sentire più i rumori dell’accampamento e si avvicinò al rombo maestoso del Saar. Si impose di non pensare a nulla, si ripeté che era una missione come le altre, nulla di più.
Ma dentro di sé sapeva che quella che la aspettava non era una battaglia dell’esercito delle Terre libere contro il Tiranno. Né dei morti di Salazar, né del popolo dei mezzelfi. Era la sua battaglia. E lei, il Cavaliere di Drago Nihal, l’avrebbe portata a compimento rimanendo se stessa. A tutti i costi.
La notte le sembrò non scendere mai.
Quando il buio si impadronì del cielo estivo, Nihal si ritirò nella tenda che le era stata assegnata e si sedette a terra con le gambe incrociate. La spada, lucidata da Laio con la solita cura, brillava davanti a lei. Un brivido le percorse la schiena. Il momento di recitare la formula era arrivato. Si terse il sudore dalla fronte e si accorse che le tremavano le mani. Aveva paura.
Ricordò la prima volta che aveva tentato di evocare l’Ombra Inestinguibile. E se non fosse riuscita a controllare l’incantesimo? Se fosse sprofondata nell’abisso e impazzita?
Chiuse gli occhi e cercò di calmarsi.
Quindi, con la voce roca, iniziò la cantilena.