«Fammi entrare» ordinò Nihal alla guardia. Era pallida e sudata. Dalla fasciatura che le stringeva il torace affiorava una macchia rossa.
«Veramente ho avuto disposizioni di...»
«Fammi entrare» ripeté lei.
«Va bene, ma io non voglio saperne niente» borbottò il soldato. Scrollò le spalle e le aprì la porta del gabbione di legno che fungeva da cella.
Quando Nihal entrò, fu investita da un odore di muffa e di stantio. La cella era buia e le sottili lame di sole che filtravano tra un’asse e l’altra illuminavano a malapena l’ambiente. La ragazza avanzò di pochi passi, inciampò, cadde in avanti.
Tra le pareti di legno echeggiò una risata. Lentamente, dal buio emerse la figura di uno gnomo tanto muscoloso da parere innaturale. Aveva mani e piedi costretti da pesanti catene, il corpo era ricoperto di ferite, ma non sembrava sofferente. I suoi occhi da furetto guardavano Nihal con disprezzo.
«Non ti reggi nemmeno in piedi, mezzelfo?»
Nihal puntò la spada innanzi a sé, furente. «Taci! Io non mi reggerò in piedi, ma dei due, sei tu quello in catene!»
«Che ferocia» ridacchiò Dola. «Forse il Tiranno non ha tutti i torti a temerti.»
«Il Tiranno non sa chi sono» rispose Nihal.
«Non sa chi sei, ma ti teme ugualmente. Per questo ti sta cercando» sussurrò lo gnomo. «Quanto credi che potrai ancora nasconderti, prima che ti trovi?
Non ti servirà a niente avermi battuto, perché tra breve l’inferno vi sommergerà tutti. E tu andrai a fare compagnia ai tuoi antenati. Siete finiti, mezzelfo.»
Nihal si avvicinò a Dola fino a sfiorargli il petto con la lama. «Cosa vai dicendo del mio maestro?»
«Il tuo maestro?» disse Dola incredulo. «E così è stato Ido a insegnarti... Mi meraviglio, non è mai stato un gran guerriero.»
Nihal fu sopraffatta dalla rabbia. «Come ti permetti di infangare l’onore di Ido, verme?»
Dola rise di gusto. «Onore? Quale onore? Ido è un traditore! Ha combattuto al soldo del Tiranno per anni. Era con il Tiranno durante la strage dei mezzelfi.»
«Che cosa stai dicendo?» urlò Nihal.
«Il tuo maestro ha partecipato allo sterminio della tua gente, mezzelfo. Fattelo raccontare, quando ti capita.»
«Taci! Taci!» gridò Nihal.
Aveva appena alzato la spada, quando la porta si spalancò e la gattabuia fu inondata di luce. Nihal si sentì afferrare il polso. L’arma le scivolò di mano e cadde a terra con fragore.
«Nessuno ti ha autorizzata a venire qui» disse il generale. Alle sue spalle apparvero quattro soldati.
Nihal si accorse che il cuore le batteva all’impazzata. Le gambe non la reggevano. Ebbe un capogiro. Appoggiò la schiena a una parete della cella e scivolò fino a sedersi a terra.
Il generale fece un cenno col capo a uno dei soldati. «Manda a chiamare il suo scudiero.»
Laio arrivò di corsa e la portò fuori, lontana dalla gattabuia. La fece sdraiare sull’erba, all’ombra di un albero.
Nihal non ebbe la forza di opporre resistenza. «È falso» continuava a ripetere mentre le si annebbiava la vista. «Quel che dice è falso...»
Poi abbassò le palpebre. Quando le riaprì, Ido era in piedi accanto a lei e la guardava in silenzio.
«Dimmi che non è vero, dillo a tutti...» mormorò Nihal.
«Dobbiamo parlare, Nihal» rispose lo gnomo.
23
Ido della Terra del Fuoco.
Seduta sulla brandina nella tenda di Ido, Nihal guardava il suo maestro con aria spaesata. Le sembrava che il mondo le si sgretolasse sotto i piedi.
«Perché non l’hai smentito, Ido? Perché non hai detto a tutti che raccontava solo menzogne?» chiese con un filo di voce.
Ido le si sedette accanto e si passò le mani sul viso. Fissò a lungo il pavimento. Sembrava cercasse in terra il coraggio e le parole. Alla fine alzò gli occhi e la guardò in faccia. «Quello che ha detto Dola è vero.»
Niente. Bianco. Nihal non provò nulla. Che cosa doveva provare? Non trovava emozioni con cui esprimere lo stupore, la rabbia, il dolore. Bianco.
«Io vengo dalla Terra del Fuoco, Nihal, ma questo lo sai. Ciò che non sai è che sono l’erede al trono di quella Terra.»
Ido fece un respiro profondo, le si sedette accanto e cominciò a raccontare.