— E un documento d'identità? — insiste l'uomo. Mi fissa e la sua faccia comincia a diventare lucida. Tiro fuori il portafogli e lo apro allo scomparto riservato alla carta d'identità. Lui le dà un'occhiata e poi torna a guardarmi. — Se non ha un biglietto, cosa sta facendo qui? — domanda.
Sento il mio cuore battere forte e un gran calore alla nuca. — Io… io… io…
— Parli, su — dice l'uomo accigliandosi. — O forse è balbuziente?
Io so che non sarò capace di parlare per diversi minuti, ormai. Frugo nel taschino della camicia e tiro fuori un cartoncino che tengo sempre lì. Lo porgo all'uomo che lo legge.
— Autistico, eh? Però lei prima parlava: un secondo fa mi ha risposto. Chi deve incontrare?
Marjory si è mossa e sta arrivando alle spalle dell'uomo. — Qualcosa non va, Lou?
— Non s'impicci, signora — la zittisce l'uomo senza guardarla.
— Quest'uomo è un mio amico — dice lei. — Dobbiamo incontrarci con una persona che arriverà col volo tre-otto-due alla porta diciassette. Non ho sentito suonare l'allarme… — Nella sua voce si sente una vibrazione di collera.
Adesso l'uomo si volge a guardarla e sembra rilassarsi. — Quest'uomo è con lei?
— Sì. C'è qualche problema?
— No, signora… lui sembrava solo un po' strano. Credo che questo… — alza il cartoncino che ha ancora in mano — spieghi tutto. Ma se è con lei…
— Io non sono la sua guardiana — dice Marjory con lo stesso tono che ha usato quando ha definito Don "una viperetta". — Lou è mio amico.
L'uomo alza le sopracciglia e fa una smorfia; poi mi restituisce il cartoncino e si volta. Io mi allontano con Marjory, che cammina con un passo un po' troppo veloce. Non diciamo nulla finché non arriviamo al salone d'aspetto per le porte da quindici a trenta.
Dalle grandi finestre si vede la pista che scintilla di luci: luci verdi e rosse sulle punte delle ali degli aeroplani, file di luci quadrate e più opache lungo i loro fianchi, a indicare dove sono i finestrini, fari dei piccoli veicoli che tirano i carrelli dei bagagli. Luci ferme e luci ammiccanti.
— Adesso puoi parlare? — chiede Marjory mentre io guardo le luci.
— Sì. — Posso sentire il suo calore… lei mi è molto vicina. Socchiudo gli occhi un momento. — Vedi, talvolta rimango confuso. — Indico un aereo che si sta dirigendo verso una porta. — È quello il nostro?
— Credo di sì. — Fa un passo di lato e adesso mi sta davanti. — Stai bene?
— Sì. Sai… certe volte mi succede così. — Mi imbarazza il fatto che mi sia accaduto stasera, la prima volta che sono solo con Marjory. Ricordo quando mi succedeva al liceo, le volte che volevo parlare con qualche ragazza che non voleva parlarmi. Adesso anche Marjory se ne andrà? Potrei prendere un taxi per tornare da Tom e Lucia, ma non ho molto denaro con me.
— Sono contenta che tu stia bene — dice lei, e poi la porta si apre e la gente comincia a uscire dall'aeroplano. Lei cerca con gli occhi Karen e io guardo lei. Eccola: Karen è una donna piuttosto anziana, dai capelli grigi. Presto siamo di nuovo fuori e in macchina, diretti a casa di Karen. Io siedo zitto sul sedile posteriore e ascolto Marjory che parla con l'amica: le loro voci fluiscono e mormorano come acqua sulle rocce. Non posso seguire ciò che dicono, parlano troppo in fretta per me e poi non conosco le persone e i luoghi di cui parlano. Ma sono felice lo stesso, perché posso guardare Marjory senza bisogno di dover parlare.
Quando torniamo alla casa di Tom e Lucia, dov'è la mia macchina, Don se n'è andato e gli ultimi schermidori si stanno congedando. Io ricordo che non ho riposto le mie armi e la maschera ed esco in cortile per prenderle, ma Tom mi dice che sono state già rimesse al loro posto. Non sapeva precisamente quando io e Marjory saremmo tornati e non voleva lasciare la mia roba fuori al buio.
Saluto Tom, Lucia e Marjory e mi dirigo verso casa.
3
Il mio schermo sta lampeggiando quando arrivo a casa. È il codice di Lars: vuole che esamini la mia e-mail. È tardi e non vorrei rischiare di non svegliarmi in orario e non arrivare in tempo al lavoro domani mattina. Lars però sa che il mercoledì io vado a lezione di scherma e di solito non mi chiama mai. Deve trattarsi di qualcosa d'importante.
Accendo e trovo il suo messaggio. Mi ha inviato un articolo ritagliato da un giornale: parla di una ricerca sulla reversione dei sintomi di tipo autistico nei primati adulti. Lo leggo in fretta, col cuore che mi batte furiosamente. Oggi è diventata comune la reversione dell'autismo genetico nel neonato o di una lesione cerebrale che abbia dato luogo a sindromi di tipo autistico nei bambini piccoli; però mi avevano detto che per me era troppo tardi. Se l'articolo dice la verità, invece, non è troppo tardi. Proprio alla fine l'autore dell'articolo istituisce questa connessione, stabilendo l'ipotesi che la ricerca si potrebbe applicare agli esseri umani e suggerendo ulteriori indagini.