Prima era molto peggio. Prima della terapia assistita dal computer, i bambini come me potevano non imparare alcun linguaggio. Verso la metà del Ventesimo secolo, i terapisti pensavano che l'autismo fosse una malattia mentale, come la schizofrenia. Mia madre aveva letto un testo scritto da una donna alla quale avevano detto che era stata lei a rendere malato di mente il figlio. L'idea che gli autistici possano diventare malati di mente, comunque, è persistita quasi fino ai tempi nostri. Ecco perché devo farmi visitare periodicamente dalla dottoressa Fornum: perché lei si assicuri che non sto sviluppando qualche malattia mentale.
Mi chiedo se il signor Crenshaw pensi che sono pazzo. Sarà per questo che la sua faccia diventa lucida quando parla con me? Ha paura? Non credo che il signor Aldrin abbia paura di me… di nessuno di noi. Ci parla come se fossimo persone normali. Invece il signor Crenshaw mi tratta come se fossi un animale ostinato che lui deve ammaestrare. Spesso io ho paura, ma adesso, dopo questo periodo di riposo sotto i cuscini, mi pare di non averla più.
Quel che vorrei davvero è andar fuori a guardare le stelle. I miei genitori mi portavano a fare il campeggio nel Sudovest; ricordo quando stavo sdraiato all'aperto e guardavo tutte quelle belle configurazioni che continuavano, una dopo l'altra, all'infinito. Quanto vorrei vedere ancora le stelle. Mi facevano sentire calmo quando ero bambino, mi mostravano un universo ordinato, in cui io potevo essere una piccolissima parte di un immenso disegno. Quando i miei genitori mi spiegavano a quale grande distanza la luce aveva viaggiato per raggiungere i miei occhi (migliaia, milioni di anni) mi sentivo consolato, anche se non posso dire perché.
Da qui non posso vedere le stelle. I fanali nel parcheggio accanto al nostro palazzo sono lampade al sodio che emettono una luce giallastra e fanno sembrare torbida l'aria, così che le stelle non possono apparire attraverso il nero opaco del cielo. Solo la Luna e poche stelle molto luminose vi si mostrano.
Talvolta solevo andare in campagna e trovare un posto da dove si potevano vedere le stelle; ma non è facile. Se parcheggio in una strada secondaria e spengo i fari dell'automobile, qualcuno potrebbe venirmi a sbattere contro perché non mi vede. Ho provato a parcheggiare a lato della strada o in qualche sentiero in disuso che porta a un casale disabitato, ma qualcuno che abita nelle vicinanze può vedermi e chiamare la polizia. E allora la polizia può arrivare e chiedermi perché sto lì fermo a notte alta. Non capiscono il mio desiderio di vedere le stelle: dicono che è una scusa. Così non faccio più nulla del genere: cerco invece di risparmiare abbastanza denaro da poter andare in vacanza in qualche posto dove ci sono ancora le stelle.
È strana la faccenda della polizia. Alcuni di noi hanno con essa più fastidi degli altri. Jorge, che è cresciuto a San Antonio, mi dice che se non sei ricco, sano e bianco la polizia crede che tu sia un criminale. Lui è stato fermato molte volte mentre cresceva: non ha imparato a parlare fino ai dodici anni, e anche allora non parlava molto bene. Così i poliziotti pensavano che fosse ubriaco o avesse preso qualche droga.
A me questo non è mai successo, però certe volte mi hanno fermato senza ragione, come ha fatto l'altro giorno la guardia all'aeroporto. Io mi spavento molto quando qualcuno mi parla duramente, e spesso non riesco a rispondere, Quando mi chiedono se ho un documento d'identità, so che dovrei dire: — Ce l'ho in tasca. — Ma se cercassi di tirar fuori il portafogli, i poliziotti potrebbero spaventarsi a loro volta e uccidermi. La signorina Sevier al liceo ci disse che la polizia pensa che noi portiamo coltelli o pistole in tasca e che a volte hanno ucciso gente che cercava di mostrare i documenti.
Un poliziotto che venne a parlare con la nostra classe al liceo diceva che la polizia era lì per aiutarci, e che solo le persone che avevano fatto qualcosa di male dovevano aver paura di loro. Jean Brouchard disse allora quello che io stavo pensando, che era difficile non aver paura di persone che ti urlavano contro e ti minacciavano; che anche se non avevi fatto nulla di male, vedere un omone che ti agitava una pistola davanti poteva spaventare chiunque. Il poliziotto diventò rosso in faccia e disse che quell'atteggiamento non era corretto. Non lo era nemmeno il suo, ma io questo non lo dissi.
Però il poliziotto che abita nel mio condominio è sempre stato gentile con me. Si chiama Daniel Bryce, ma mi ha detto di chiamarlo Danny. Mi saluta ogni volta che mi vede, e io gli rispondo. Una volta mi ha fatto i complimenti per come tengo pulita la mia macchina. Non l'ho mai sentito urlare contro nessuno. Non so cosa pensa di me, tranne il fatto che gli piace la pulizia della mia auto. Non so se sa che sono autistico. Perciò cerco di non aver paura di lui, perché non ho mai fatto niente di male; però nonostante tutto un poco di paura ce l'ho.