— È colpa tua. È tutta colpa tua se Tom mi ha sbattuto fuori — dice. La sua faccia è tutta contratta, con i muscoli che sporgono come nodi. I suoi occhi fanno paura, non voglio vederli e allora guardo altre parti del suo viso. — È colpa tua se Marjory mi ha scaricato. Fa schifo vedere in che modo le donne si fanno incantare da quella faccenda dell'handicap. Tu probabilmente ne hai a dozzine, tutte irretite da quell'aria indifesa che ti dai. — Alza la voce in un falsetto stridente, come se volesse imitare qualcuno. — "Povero Loù, non può farci niente" e "Povero Lou, ha bisogno di me" — dice. — I fenomeni da baraccone dovrebbero accoppiarsi con i fenomeni da baraccone, se proprio è necessario che si accoppino. La sola idea di te che te la fai con una donna normale mi fa vomitare dal disgusto.
Non riesco a dir nulla. Credo che dovrei essere impaurito, e invece quello che provo non è paura ma pena, una pena così grande che ne sento il peso dappertutto. Don è normale, avrebbe potuto diventare tante cose, avrebbe potuto far tanto così facilmente! Perché ci ha rinunciato per ridursi così?
— Non è colpa mia — dico infine.
— Col cavolo non lo è! — ribatte. Si avvicina di più. Il suo sudore ha un odore strano. Non so cosa sia, ma lui deve aver mangiato o bevuto qualcosa che gli ha dato quell'odore. Ha il colletto della camicia slacciato. Guardo in basso: le sue scarpe sono scorticate e una è senza lacci. Essere in ordine è importante, non ci si fa notare e si produce una buona impressione. In questo momento Don si fa notare e non produce una buona impressione, ma nessuno se ne accorge. Vedo la gente che si dirige verso il supermercato o verso le proprie macchine senza far caso a noi. — Tu sei un
So che Don sta dicendo cose prive di senso, ma mi sento ferito dalla forza dell'odio che avventa contro di me. Mi sento anche sciocco per non aver riconosciuto prima questo suo lato. Ma lui era mio amico, mi sorrideva, cercava di aiutarmi. Come avrei potuto accorgermene?
Si toglie di tasca la mano destra e vedo la nera canna di un'arma puntata verso di me. L'esterno della canna brilla un poco alla luce, ma l'interno è buio come lo spazio. Il buio sta per inghiottirmi.
— Tutta quella boiata delle misure di sostegno… diavolo, non fosse per te e per i tuoi pari il resto del mondo non starebbe precipitando in un'altra depressione. Io avrei la carriera che dovrei avere, non questo lavoraccio da quattro soldi che mi è toccato.
Non so che lavoro Don faccia, ma non credo che le sue difficoltà economiche siano colpa mia. Non credo che potrebbe avere la carriera che vuole se io fossi morto. I datori di lavoro vogliono persone pulite ed educate, che lavorino duro e non creino problemi. Don è sudicio e in disordine, dice cose scortesi e non ama lavorare.
Di colpo si fa avanti, mi avvicina la mano con l'arma. — Entra nell'automobile — dice, ma io sono già in movimento. Il suo schema di attacco è semplice, facile da riconoscere, e d'altra parte lui non è rapido e forte come pensa di essere. La mia mano gli afferra il polso mentre lo sporge e lo sbatte da una parte. Il rumore dell'arma che esplode non somiglia al rumore delle armi in TV. È più forte e più minaccioso e desta echi. Io non ho un'arma, ma l'altra mia mano lo colpisce forte all'altezza del diaframma. Don si piega in due e dalla bocca gli esce uno sbuffo di fiato puzzolente.
— Ehi! — urla qualcuno. — Polizia! — urla qualcun altro. Si sentono strilli. Appare di colpo un mucchio di gente che si getta su Don. Io barcollo e sto per cadere quando mi urtano; qualcuno mi afferra per un braccio e mi fa girare, spingendomi contro la fiancata dell'auto.
— Lasciatelo stare, lui è la vittima — dice un'altra voce. È il signor Stacy. Non so cosa stia facendo qui. Mi guarda accigliatissimo. — Signor Arrendale, non le avevamo detto di stare attento? Perché non è andato subito a casa dopo il lavoro? Se Dan non ci avesse avvertiti che dovevamo tenerla d'occhio…
— Pensavo… di essere stato attento. — È difficile parlare in mezzo a tanto fracasso. — Ma avevo bisogno di far la spesa e questo è il mio giorno per farla. — Solo allora ricordo che anche Don lo sapeva, che già un'altra volta l'ho visto qui di martedì.
— Lei ha una fortuna sfacciata — dice Stacy.
Don è a terra bocconi, due uomini sono inginocchiati sopra di lui. Gli hanno tirato le mani dietro la schiena e gli mettono le manette. Don sta emettendo rumori strani, sembra che pianga. Quando lo tirano su vedo che piange davvero. Le lacrime gli scorrono sulla faccia rigando lo sporco. Mi dispiace per lui. Io mi sentirei malissimo a piangere così, davanti a tutti.
— Bastardo! — mi dice vedendomi. — Mi hai teso un agguato!
— Non ti ho teso nessun agguato — replico. Vorrei spiegargli che io non sapevo che i poliziotti fossero qui, anzi che loro ce l'hanno con me perché non sono rimasto a casa, ma lo stanno già portando via.