— No. — Non so come si deve comportare un testimone in un processo. Non mi è mai piaciuto guardare spettacoli su processi in TV.
— Be', non succederà tanto presto e avremo tempo di parlarne. Adesso però… c'è qualcosa che io o Lucia possiamo fare per te?
— No, io sto bene. Verrò a esercitarmi domani.
— Ne sono contento. Non avrei voluto che tu ci abbandonassi per paura che qualcun altro nel gruppo cominciasse a comportarsi come Don.
— Non avevo pensato affatto a questo. — Sembra un'idea sciocca, ma poi mi chiedo se il gruppo aveva bisogno di un Don e se qualcuno dovesse calarsi in quel ruolo. Eppure, se una persona normale come Don poteva nascondere quel carico di collera e di violenza, forse tutte le persone normali hanno quella facoltà in potenza. Io non credo di averla.
— Bene. Se però dovessi avere la minima preoccupazione su questo punto, a proposito di chiunque… fammelo sapere subito, per favore. I gruppi sono bizzarri. Io ho fatto parte di gruppi dove, quando qualcuno che era antipatico a tutti se ne andava, immediatamente trovavamo qualcun altro da detestare e si ricominciava daccapo.
— Così ci sono schemi nei gruppi?
— Quello è uno dei tanti. — Sospira. — Spero che non esista nel nostro gruppo, e comunque terrò gli occhi aperti. Chissà come, nel caso di Don non ci siamo accorti di niente.
Suona il campanello. Tom mi guarda con aria interrogativa. — Credo sia un poliziotto — dico. — Il signor Stacy ha detto che avrebbe mandato qualcuno a raccogliere la mia deposizione.
— Allora io posso andare — mi saluta Tom.
Il poliziotto, che è il signor Stacy, siede sul mio divano. Porta calzoni avana e una camicia a quadretti con maniche corte; ha scarpe marroni di pelle ruvida. Appena entrato si è guardato attorno e si capiva che stava notando tutto. Anche Danny guarda nello stesso modo, facendo caso a tutto.
— Ho i rapporti sugli altri episodi di vandalismo, signor Arrendale — dice. — Perciò, se lei mi dirà tutto su quanto è avvenuto questa sera… — Ma è sciocco: lui era lì. Mi ha fatto delle domande e io ho risposto e lui ha scritto sul suo palmare. Non capisco perché sia qui a farmi ripetere tutto daccapo.
— Questo è il mio giorno per andare a fare la spesa — dico. — Io vado a fare la spesa nello stesso supermercato, perché è più facile trovare le cose in un supermercato quando si va lì ogni settimana.
— Ci va alla stessa ora ogni settimana?
— Sì. Vado dopo il lavoro e prima di prepararmi la cena.
— E fa una lista delle cose da acquistare?
— Sì. — È naturale, credo, ma forse Stacy pensa che non tutti facciano una lista. — Però l'ho gettata via quando sono arrivato a casa. — Mi chiedo se lui vorrà che vada a ripescarla dalla spazzatura.
— Oh, non importa. Volevo solo rendermi conto di quanto erano prevedibili i suoi movimenti.
— La prevedibilità è una buona cosa — dico. Sto cominciando a sudare. — È importante avere delle abitudini.
— Certo, naturalmente — annuisce lui. — Ma avere delle abitudini rende più facile localizzarla per qualcuno che voglia farle del male. Ricordi che io l'avevo ammonita in proposito la settimana scorsa.
Io non ci avevo pensato da quel punto di vista.
— Comunque continui, non volevo interromperla. Mi dica tutto.
Mi pare strano avere qualcuno che ascolta con tanta attenzione cose insignificanti come l'ordine secondo il quale faccio le mie spese… ma lui vuole che gli dica tutto. Non so cos'abbia a che fare questo con l'attentato, però io riferisco tutto, come organizzo la mia spesa per evitare di fare giri inutili.
— Poi sono uscito — continuo. — Non era completamente buio, ma nel parcheggio le luci erano accese. Io avevo parcheggiato a sinistra, nell'undicesima fila. — A me piace fermarmi in un posto la cui locazione sia un numero primo, ma questo non lo dico. — Avevo in mano le chiavi e ho aperto la macchina. Ho preso i sacchetti della spesa dal carrello e li ho riposti nel retro. Poi ho sentito il carrello muoversi alle mie spalle e mi sono voltato. Allora Don mi ha rivolto la parola.
M'interrompo, cercando di ricordare quali parole esatte ha adoperato e in che ordine. — Sembrava davvero furioso — dico. — Aveva la voce rauca. Ha detto: "È stata tutta colpa tua. È colpa tua se Tom mi ha buttato fuori". — M'interrompo di nuovo. Don ha detto un sacco di cose molto in fretta e io non sono sicuro di ricordarle tutte nel dovuto ordine. Sarebbe sbagliato riferirle in modo inesatto.
Il tenente Stacy aspetta in silenzio.
— Non sono certo di ricordare tutto esattamente — mi giustifico.
— Non importa — dice lui. — Mi racconti tutto ciò che ricorda.