Attaccarono senza preavviso. Arrivando basso da sudovest, il micidiale profilo di un elicottero d'assalto piombò sulla
Trapassando l'oscurità, una raffica in staccato scaricò una pioggia di proiettili sul ponte in fibra di vetro della
Il fragore del rotore esplose sopra la sua testa al passaggio dell'elicottero. Il rumore svanì in un sibilo sinistro mentre il velivolo saliva in candela sopra l'oceano e cominciava un'ampia virata per un secondo passaggio.
Tremante sul ponte, Rachel si voltò verso Tolland e Corky, stringendosi il braccio. I due uomini si erano tuffati dietro a un contenitore e in quel momento si stavano rialzando, incerti sulle gambe, e scrutavano il cielo terrorizzati. Rachel si inginocchiò. Il mondo intero sembrava muoversi al rallentatore.
Accovacciata dietro alla curvatura trasparente del Triton, in preda al panico, Rachel guardò la loro unica via di scampo: l'elicottero della guardia costiera. Xavia si stava già imbarcando e, con gesti frenetici, incitava tutti gli altri a salire a bordo. Rachel scorse il pilota che saltava nell'abitacolo e azionava furiosamente interruttori e leve.
Le pale del rotore cominciarono a ruotare… lentamente.
Troppo lentamente.
Muoviti!
Rachel si accorse di essere in piedi, pronta a correre. Si chiese se ce l'avrebbe fatta ad attraversare il ponte prima che gli aggressori tornassero all'attacco. Dietro di sé, sentì Corky e Tolland lanciarsi verso di lei e l'elicottero in attesa. "Sì! Correte!"
Ma poi lo vide.
Da un punto nella completa oscurità del cielo, a un centinaio di metri di distanza, si materializzò un raggio di luce rossa, sottile come una matita, che trafisse la notte esplorando il ponte della
Poi, individuato il bersaglio, il raggio si fermò sulla fiancata dell'elicottero della guardia costiera.
L'immagine impiegò solo un istante a scolpirsi nella sua mente. In quell'orribile momento, sembrò a Rachel che tutto si condensasse in un collage di forme e suoni: Tolland e Corky lanciati verso di lei; Xavia che gesticolava furiosamente dall'elicottero; l'intenso laser rosso che affettava il cielo notturno.
Troppo tardi.
Rachel si voltò indietro verso Corky e Tolland, che correvano da lei a tutta velocità. Balzò in avanti, a braccia aperte, cercando di fermarli. Le sembrò di venire investita da un treno mentre insieme a loro precipitava sul ponte in un groviglio di membra.
In lontananza, un lampo di luce bianca. Rachel rimase a guardare, con orrore e incredulità, mentre una scia di gas di scarico, perfettamente allineata, seguiva la traccia del raggio laser verso l'elicottero.
Quando il missile Hellfire colpì la fusoliera, l'elicottero esplose come un giocattolo. La calda e fragorosa onda d'urto spazzò il ponte tuonando, mentre frammenti infuocati piovevano tutf intorno. La carcassa in fiamme dell'elicottero ruotò all'indietro, sulla coda fracassata, tentennò un attimo e poi precipitò dalla poppa della nave, schiantandosi in mare in una nuvola sibilante di vapore.
Rachel chiuse gli occhi. Non riusciva a respirare. Sentiva il relitto gorgogliare e crepitare mentre affondava, trascinato lontano dalla
111
Il tempo sulla banchisa di Milne si era stabilizzato e la habisfera era tranquilla, ma Lawrence Ekstrom non aveva neanche cercato di dormire. Per ore e ore non aveva fatto che vagabondare per la cupola, guardare pensoso nel pozzo di estrazione, percorrere con le dita i solchi della gigantesca pietra annerita.
Alla fine, aveva preso una decisione.
In quel momento sedeva al videotelefono nella stanza delle comunicazioni e guardava gli occhi stanchi del presidente degli Stati Uniti. Zach Herney, in vestaglia, non sembrava per niente divertito. Ekstrom sapeva che lo sarebbe stato ancora meno quando avesse appreso ciò che aveva da riferirgli.
Quando Ekstrom ebbe finito, Herney sembrava a disagio, come se pensasse di essere ancora troppo insonnolito per aver capito bene. «Aspetta» disse. «Ci deve essere un disturbo sulla linea. Mi vuoi dire che la NASA ha intercettato le coordinate del meteorite da una chiamata radio d'emergenza, e poi
Ekstrom taceva, solo, al buio, cercando di ordinare al suo corpo di svegliarsi da quell'incubo.
Il silenzio, chiaramente, non andava a genio al presidente. «Per l'amor di Dio, Larry, dimmi che non è vero!»