Quest'idea apparentemente pazzesca è stata proposta, per la prima volta, all'attenzione dell'Occidente in una lettera sul numero di "Science" dell'11 febbraio 1966, "È possibile agganciare il cielo coi satelliti", lettera firmata da John D. Isaacs, Hugh Bradner e George E. Backsus dello "Scripps Institute of Oceanography", e da Allyn C. Vine del "Wood's Hole Oceanographic Institute". Per quanto possa sembrare bizzarro che siano degli oceanografi a cullare un'idea del genere, la cosa non è sorprendente quando si considera che solo loro (dai giorni gloriosi dei palloni di sbarramento) studiano il problema di cavi a lunga distanza sottoposti a un peso enorme (tra parentesi, il nome del dottor Allyn Vine è oggi immortalato in quello di un famoso sommergibile da ricerca, "Alvin").
Solo più tardi si scoprì che l'idea era già stata avanzata, sei anni prima e su scala molto più ambiziosa, da un ingegnere di Leningrado, Y. N. Artsutanov. Artsutanov progettò una "funicolare celeste", per usare il suo nome suggestivo, capace di trasportare all'orbita sincrona nientemeno che 12.000 tonnellate al giorno. È sorprendente che un'idea così audace non abbia ricevuto l'accoglienza che merita. Personalmente l'ho vista menzionata una volta sola, nel bel volume d'illustrazione di Alexei Leonov e Sokolov "Le stelle ci attendono" (Mosca, 1967). Una tavola a colori mostra l'"elevatore spaziale" in funzione; la didascalia dice: " …Il satellite, per così dire, resterà immobile in u ncerto punto del cielo. Se abbassiamo un cavo dal satellite alla Terra, avremo pronta la strada. Dopo di che si potrà costruire un elevatore Terra-Sputnik-Terra che potrà ospitare sia materiali che passeggeri, e funzionerà senza la propulsione a razzo".
Il generale Leonov mi ha regalato una copia di quel volume alla Conferenza di Vienna del 1968 per gli Usi Pacifici dello Spazio, ma l'idea non mi ha colpito; a prescindere dal fatto che l'elevatore spaziale parte esattamente da Sri Lanka! Probabilmente ho ritenuto che il cosmonauta Leonov, noto umorista e magnifico diplomatico, stesse solo scherzando.
Indubbiamente l'elevatore spaziale è un'idea di cui oggi si avverte la necessità, com'è dimostrato dal fatto che nel giro di un decennio da quella famosa lettera pubblicata nel 1966 è stato reinventato almeno tre volte. Un progetto molto dettagliato, con parecchie idee nuove, è quello di Jerome Pearson della Wright-Peterson Air Force Base, pubblicato da "Acta Astronautica" nel numero di settembre-ottobre 1975 (La Torre Orbitale: una base di lancio per astronavi che utilizza l'energia di rotazione della Terra). Il dottor Pearson è rimasto stupefatto all'idea che fossero già stati fatti studi sull'argomento, non registrati dal suo computer; li ha scoperti leggendo la mia relazione alla "House of Representatives Space Committee" del luglio 1975.
Sei anni prima, A. R. Collar e J. W. Flower erano giunti praticamente alla stessa conclusione, in uno studio pubblicato dalla "Rivista della Società Interplanetaria Britannica". Stavano esaminando la possibilità di collocare un satellite di comunicazione molto al di sotto dell'altezza naturale di 36.000 chilometri, e non hanno discusso l'idea di abbassare il cavo sino alla superficie della Terra, ma si tratta solo di un'ovvia implicazione del loro progetto.
E ora un piccolo aneddoto personale. Nel 1963, in un saggio pubblicato da "Astronautics", scrivevo: "Come possibilità a scadenza molto più remota, va notato che esistono diverse possibilità teoriche di costruire un satellite a bassa altitudine, con una rotazione di ventiquattro ore; ma sono necessari sviluppi tecnici che difficilmente si verificheranno in questo secolo. I teorici potranno sbizzarrirsi a calcolarne le possibilità".
La prima di queste "possibilità a scadenza remota", ovviamente, era il satellite immobile di cui parlavano Collar e Flower. I miei calcoli approssimativi, basati sulla resistenza dei materiali esistenti, mi rendevano così scettico nei confronti dell'idea che non mi preoccupai nemmeno di esporla nei particolari. Se fossi stato un po' meno conservatore, o se avessi avuto a disposizione un po' più di carta per fare i calcoli, forse sarei arrivato per primo, ovviamente a prescindere da Artsutanov.
Dal momento che questo libro è (o almeno lo spero) un romanzo, e non un manuale tecnico, rimando le persone interessate ai dettagli tecnici ai sempre più frequenti articoli sull'argomento. Tra gli ultimi: "Come usare la Torre Orbitale per lanciare in orbita ogni giorno capsule che sfuggano alla gravitazione terrestre", di Jerome Pearson (Atti del ventisettesimo convegno internazionale della confederazione astronautica, ottobre 1976), e un notevole articolo di Hans Moravec: "Una stazione orbitale non sincrona" (Atti della riunione annuale della Società Astronautica Americana, 18/20 ottobre 1977).