Читаем Le fontane del Paradiso полностью

Per Morgan era una fortuna che, in quell'epoca di decisioni prese con l'aiuto del computer, anche una sentenza della Corte Mondiale si potesse ottenere nel giro di qualche settimana. Il "vihara", ovviamente, aveva protestato. Morgan aveva ribattuto che un breve esperimento scientifico, condotto su un terreno all'esterno dei possedimenti del tempio e che non avrebbe creato rumori, inquinamento, o inconvenienti d'altro tipo, non poteva costituire un torto. Se gli avessero impedito di procedere, tutto il suo lavoro sarebbe stato in pericolo, lui non avrebbe avuto modo di controllare i calcoli, e un progetto di vitale importanza per la Repubblica di Marte avrebbe ricevuto un duro colpo.

Erano argomenti molto plausibili, e Morgan stesso li aveva ritenuti praticamente validi. Anche i giudici, cinque contro due. Per quanto la Corte Mondiale non dovesse lasciarsi influenzare da questioni del genere, l'accenno ai litigiosi marziani era stata una mossa abile. La Repubblica Marziana aveva già in ballo tre cause molto complesse, e la Corte cominciava a essere stanca di stabilire precedenti nella legislazione interplanetaria.

Ma Morgan sapeva, o almeno lo sapeva la parte freddamente analitica del suo cervello, che quell'azione non gli era stata imposta solo dalla logica. Non era uomo da accettare di buon grado le sconfitte; un gesto di sfida gli procurava una certa soddisfazione. Eppure, a un livello ancora più profondo, rifiutava quel motivo sciocco: un capriccio del genere non era degno di lui. In realtà stava ricostruendo la fiducia in se stesso, voleva affermare ancora una volta la sua fede nel successo finale. Senza sapere come, o quando, stava annunciando al mondo e, soprattutto, a quei monaci testardi chiusi fra mura antiche: "Ritornerò".

La Stazione Ashoka controllava praticamente tutta la meteorologia, le comunicazioni, la supervisione ambientale e il traffico spaziale nella regione del Catai indù. Se avesse smesso di funzionare, un miliardo di vite si sarebbero trovate in pericolo, e, se non avesse ricominciato a operare, per loro sarebbe stata la morte sicura. Era logico che Ashoka possedeva due sub-satelliti completamente indipendenti, Bhaba e Sarabhai, lontani un centinaio di chilometri. Se anche una catastrofe inimmaginabile avesse distrutto tutte e tre le stazioni, Kinte e Imhotep a ovest, o Confucio a est, erano in grado di sostituirle in una situazione d'emergenza. La razza umana aveva imparato, da lezioni durissime, a non mettere tutte le uova nello stesso paniere.

Lì, così lontano dalla Terra, non c'erano turisti, gitanti o ospiti di passaggio. Gente del genere portava a termine i propri affari, oppure si godeva lo spettacolo, a pochi chilometri d'altezza dal pianeta, e lasciava quell'alta orbita geosincrona a scienziati e tecnici; ma anche loro non si erano mai recati su Ashoka per compiere una missione così bizzarra e tanto meno con strumenti tanto insoliti.

In quel momento, l'elemento essenziale dell'Operazione Ragnatela fluttuava in una delle piccole camere d'agganciamento della stazione, in attesa dell'ultimo controllo prima del lancio. Non aveva niente di troppo spettacolare, e il suo aspetto non lasciava immaginare le ricerche di anni e i milioni occorsi per crearlo.

Il cono d'un grigio anonimo, lungo quattro metri e largo due metri alla base, sembrava fatto di metallo solido; occorreva un attento esame per scoprire la fibra tesissima che ne ricopriva l'intera superficie. A parte un nucleo interno e i fogli di tessuto plastico che separavano le centinaia di strati, il cono era fatto solo di un filo d'iperfilamento, lungo quarantamila chilometri.

Due antiche tecnologie, totalmente diverse, erano state riesumate per la costruzione di quel cono anonimo.

Trecento anni prima avevano iniziato a funzionare, lungo i letti degli oceani, i telegrafi sottomarini; l'umanità aveva sprecato immense fortune prima di padroneggiare l'arte di arrotolare migliaia di chilometri di cavo e stenderli a velocità costante di continente in continente, nonostante le tempeste e tutti gli altri pericoli del mare. Poi, un secolo dopo, alcune delle prime, rozze armi guidate vennero controllate da fili robusti che si srotolavano durante il volo verso il bersaglio, a poche centinaia di chilometri l'ora. Morgan tentava di superare di un migliaio di volte la portata di quei pezzi da museo della guerra, a una velocità cinquanta volte superiore. Però aveva qualche vantaggio. Il suo missile, tranne che per gli ultimi cento chilometri, avrebbe viaggiato nel vuoto assoluto; e il suo bersaglio non avrebbe cercato di sfuggirgli.

La direttrice operativa del Progetto Ragnatela richiamò l'attenzione di Morgan con un colpo di tosse leggermente imbarazzato.

— Abbiamo ancora un piccolo problema, dottore — gli disse. — Sulla discesa del filo non ci sono dubbi: tutte le prove e simulazioni al computer sono soddisfacenti, come avete visto. È il rientro del filamento che preoccupa la Sicurezza della Stazione.

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Научная Фантастика
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