01 15 24 "Qui è la 'Friendship Seven'. Cercherò di descrivere il mio ambiente. Mi trovo dentro una grande massa di particelle piccolissime ed estremamente luminose, quasi fossero luminescenti… Seguono la capsula, e sembrano stelle. Ce n'è un mucchio in arrivo…
01 16 10 "Sono lentissime. Non si allontanano da me a più di cinque o sei chilometri all'ora…
01 19 38 "I raggi del sole sono appena spuntati dietro il telescopio… Mentre guardavo fuori dall'oblò, ho visto letteralmente migliaia di piccole particelle luminose che danzavano attorno alla capsula…"
Con le tute spaziali di vecchio tipo, sarebbe stato del tutto impossibile raggiungere il dado ad aletta. Era difficile persino con la flexituta che indossava Morgan, però se non altro poteva tentare.
Con estrema cura, visto che tante vite dipendevano da quello che avrebbe fatto, studiò la sequenza di eventi. Doveva controllare la tuta, depressurizzare la capsula, e aprire il portello che, per fortuna, era a portata di mano. Poi doveva slacciare la cintura di sicurezza, mettersi in ginocchio (se ci riusciva!) e afferrare quel dado. Tutto dipendeva da quanto era stretto. Sul Ragno non c'erano utensili di nessun tipo, ma Morgan era pronto a misurare le proprie dita, anche chiuse dai guanti, contro la resistenza del dado.
Stava per trasmettere a Terra i suoi piani, nel caso che qualcuno individuasse un errore fatale, quando si accorse di una sensazione sgradevole al basso ventre. Poteva facilmente sopportarla ancora per molto tempo, se fosse stato necessario, ma era inutile correre rischi. Se usava le tubature igieniche della capsula, non doveva ricorrere allo scomodo meccanismo incorporato nella tuta…
Quando si fu liberato schiacciò il pulsante di SCARICO URINE, e rimase sorpreso da una piccola esplosione alla base della capsula. Stupefatto, vide spuntare quasi subito una nube di stelle scintillanti, come se fosse stata creata una galassia in miniatura. Morgan ebbe l'impressione che, per una frazione di secondo, rimanesse immobile all'esterno della capsula; poi cominciò a cadere verso il basso, con la stessa velocità di una pietra scagliata sulla Terra. Dopo pochi secondi quella galassia microscopica si trasformò in un punto minuscolo, e scomparve.
Niente avrebbe potuto ricordargli con maggior efficacia che era ancora prigioniero del campo gravitazionale terrestre. Ricordò che, nei primi giorni del volo orbitale, gli astronauti si sentivano stupefatti e poi divertiti dall'alone di cristalli ghiacciati che li accompagnava attorno al pianeta. Qualcuno aveva anche inventato, per scherzo, la "Costellazione Urina". Ma lì le cose erano diverse: tutto quello che usciva dal Ragno, per quanto fragile, sarebbe andato a cozzare con l'atmosfera. Non doveva mai dimenticare che, nonostante l'altezza raggiunta, non era un astronauta, libero da ogni peso e costrizione. Era solo un uomo che si trovava in un edificio alto quattrocento chilometri, e che si preparava ad aprire la finestra.
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Sulla veranda
Per quanto sulla cima facesse freddo, e le condizioni atmosferiche fossero tutt'altro che confortevoli, la folla continuava ad aumentare. C'era qualcosa di ipnotico in quella stella minuscola, brillante, immobile allo zenit, su cui in quel momento erano puntati i pensieri del mondo intero, nonché il raggio laser della Stazione Kinte. Arrivando, tutti gli spettatori si dirigevano al nastro nord e lo toccavano con qualcosa a mezza strada fra la vergogna e l'impudenza, come per dire: "Lo so che è stupido, ma mi sembra di essere più vicino a Morgan". Poi si raccoglievano attorno alla macchinetta del caffè e ascoltavano i comunicati diramati dagli altoparlanti. Niente di nuovo alla Torre: i sette naufraghi dormivano, o tentavano di dormire, per risparmiare ossigeno. Per il momento Morgan non era ancora in ritardo, per cui nessuno li aveva informati dell'incidente; ma entro un'ora avrebbero chiamato la Stazione di Mezzo per sapere cos'era successo.