Ormai l'ambasciatore Rajasinghe aveva bisogno di poco sonno. Era come se la Natura, benevolmente, gli stesse concedendo di sfruttare al massimo gli anni che gli rimanevano. E in nottate come quella, quando i cieli di Taprobane erano illuminati dallo spettacolo più straordinario che si vedesse da secoli, chi restava a letto?
Quanto avrebbe desiderato che Paul Sarath fosse lì con lui a vederlo! Il suo vecchio amico gli mancava più di quanto avrebbe ritenuto possibile; non c'era nessuno che potesse infastidirlo e stimolarlo come Paul, nessuno con cui avesse diviso, sin dalla fanciullezza, tante esperienze. Rajasinghe non aveva creduto di poter sopravvivere a Paul, o di riuscire a vedere la fantastica stalattite della Torre (un miliardo di tonnellate!) colmare quasi per intero l'abisso tra l'orbita sincrona e Taprobane, trentaseimila chilometri più in basso. Negli ultimi tempi Paul era diventato un nemico accanito del progetto; aveva detto che era una spada di Damocle, e non aveva mai smesso di predire che tutto sarebbe ricaduto sulla Terra. Eppure persino Paul aveva ammesso che la Torre aveva già prodotto alcuni vantaggi.
Forse per la prima volta nella storia, il resto del mondo era al corrente dell'esistenza di Taprobane, e stava scoprendo la sua antica cultura. Yakkagala, con la sua mole enorme e le sue leggende sinistre, aveva suscitato un'attenzione particolare; per cui Paul era riuscito a ottenere i flnanziamenti per alcuni dei suoi progetti più amati. L'enigmatica personalità del creatore di Yakkagala aveva già fornito spunto a numerosi libri e videodrammi, e lo spettacolo "son-et-lumière" ai piedi della Montagna registrava regolarmente il tutto esaurito. Poco prima di morire, Paul aveva detto seccamente che Kalidas stava diventando un buon affare, e che era sempre più difficile distinguere tra leggenda e realtà.
Subito dopo la mezzanotte, quando fu evidente che l'aurora boreale era giunta al culmine, Rajasinghe venne trasportato in camera da letto. Come faceva sempre dopo aver dato la buonanotte al personale della villa, si concesse un momento di relax con un bicchierino di ponce caldo e diede un'occhiata alle ultime notizie. L'unica cosa che lo interessava sul serio era l'impresa di Morgan: ormai doveva essere vicino alla base della Torre.
Il giornalista di turno aveva già commentato gli ultimi sviluppi della situazione. Una scritta che correva di continuo in basso sullo schermo diceva: MORGAN IMMOBILIZZATO A 200 CHILOMETRI DALLA META.
Le dita di Rajasinghe chiesero ulteriori dettagli, e lui fu lieto di scoprire che le sue paure iniziali erano prive di fondamento. Morgan "non" era immobilizzato; semplicemente non era in grado di terminare il viaggio. Poteva tornare sulla Terra quando voleva; ma se tornava, il professor Sessui e i suoi colleghi erano condannati a una morte certa.
In quel momento, direttamente sopra la sua testa, si stava svolgendo il dramma. Rajasinghe passò dai titoli elettronici al video, ma non c'era niente di nuovo; anzi, adesso stavano trasmettendo la registrazione del viaggio di Maxine Duval, avvenuto anni prima, su un prototipo del Ragno.
— Io posso fare di meglio — mormorò Rajasinghe, e mise in funzione il suo adorato cannocchiale.
I primi mesi dopo essersi trovato confinato a letto, gli era stato impossibile usarlo. Poi Morgan aveva fatto una delle sue brevi visite di cortesia, aveva analizzato la situazione e prescritto la cura. Una settimana più tardi, tra la sorpresa e il piacere di Rajasinghe, un gruppetto di tecnici si era presentato a Villa Yakkagala, e aveva adattato lo strumento al controllo a distanza. Adesso, standosene comodamente coricato a letto, lui poteva esplorare i cieli lontani e la superficie immensa della Montagna. Era profondamente grato a Morgan per quel gesto, che gli aveva mostrato un lato della personalità dell'ingegnere di cui non sospettava l'esistenza.
Non era ben sicuro di cosa potesse vedere nel buio della notte; ma sapeva esattamente dove puntare l'obiettivo, perché da molto seguiva la lenta discesa della Torre. Quando il sole si trovava all'angolo giusto, riusciva persino a vedere i quattro nastri di guida che convergevano verso lo zenit, quattro linee di luce tracciate in cielo.