Sipari di un fuoco verde pallido, scarlatti agli orli, venivano distesi lungo il cielo e poi scossi lentamente avanti e indietro, come da una mano invisibile. Tremavano sotto il soffio del vento solare, la corrente che a un milione di chilometri l'ora soffiava dal Sole alla Terra, e molto oltre. Persino al di sopra di Marte s'era acceso un debole spettro colorato; e, controsole, i cieli micidiali di Venere erano in fiamme. Sopra i sipari, lunghi raggi simili alle stecche di un ventaglio semiaperto spazzavano l'orizzonte. A volte colpivano Morgan direttamente negli occhi, come le luci di riflettori giganteschi, lasciandolo abbagliato per interi minuti. Non era più necessario tener accesa l'illuminazione della capsula per respingere il buio: quei fuochi celesti erano talmente forti che alla loro luce si sarebbe potuto leggere.
Duecento chilometri. Il Ragno continuava a salire in silenzio, senza sforzi. Era difficile credere di essersi staccato dalla Terra solo un'ora prima. E anche difficile credere che la Terra esistesse ancora perché adesso lui viaggiava fra le pareti di un canyon di fuoco.
L'illusione durò pochi secondi; poi si spezzò l'equilibrio momentaneo, instabile, tra campi magnetici e nubi elettriche. Ma in quel breve istante Morgan poté davvero credere di risalire un abisso straordinariamente più grande anche di Valles Marineris, il Grand Canyon di Marte. Poi quei picchi scintillanti, alti almeno cento chilometri, divennero trasparenti e dietro apparvero le stelle. Li vide per quello che erano realmente: semplici fantasmi di fluorescenza.
E adesso, come un aereo che uscisse da un banco di nubi basse, il Ragno si arrampicava al di sopra di quello spettacolo. Morgan stava riemergendo da una nebbia di luce che si agitava e ruotava sotto di lui. Molti anni prima aveva compiuto una crociera sui mari tropicali, e ricordava che una notte si era unito agli altri passeggeri della nave a poppa, incantato dalla bellezza e dalla singolarità della scia bioluminescente. Alcuni dei verdi e dei blu che adesso fluttuavano sotto di lui erano identici ai colori prodotti dal plancton che aveva ammirato allora, e non gli era difficile immaginare che anche adesso si trattasse di sottoprodotti di esseri viventi: bestie gigantesche, invisibili, che vivevano negli strati alti dell'atmosfera…
Aveva quasi dimenticato la propria missione, e fu per lui un vero colpo sentirsi richiamare al dovere.
— Com'è la situazione dell'energia elettrica? — chiese Kingsley. — Quella batteria deve durarti solo altri venti minuti.
Morgan guardò il pannello.
— È scesa al novantacinque per cento, ma la mia velocità di salita è aumentata del cinque per cento. Sto andando a duecentodieci chilometri all'ora.
— Più o meno è giusto. Il Ragno risente della gravità inferiore. Al tuo livello è già scesa del dieci per cento.
Troppo poco per accorgersene, in particolare se si era legati a un sedile con diversi chili di tuta spaziale addosso. Eppure Morgan si sentiva leggero. Si chiese se gli arrivava troppo ossigeno.
No, il flusso era normale. Doveva trattarsi del piacere prodotto dal meraviglioso spettacolo che aveva sotto, che però adesso andava scomparendo, si ritirava a nord e a sud, come per riprendere possesso dei poli. E poi c'era anche la soddisfazione di una missione iniziata perfettamente, servendosi di una tecnologia che nessuno aveva sperimentato a quei limiti.
La spiegazione era perfettamente ragionevole, però non lo soddisfaceva. Non bastava a spiegare il suo senso di felicità, addirittura di gioia. Warren Kingsley, subacqueo appassionato, gli aveva raccontato spesso che provava sensazioni del genere nell'ambiente privo di peso del mare. Morgan non lo aveva mai capito sino in fondo, ma adesso intuiva di cosa dovesse trattarsi. Gli sembrava di aver lasciato tutte le preoccupazioni sul pianeta nascosto sotto i sipari e i raggi sempre più deboli dell'aurora boreale.
Le stelle stavano riprendendo il loro posto, non più nascoste da quello strano intruso giunto dai poli. Morgan cominciò a scrutare lo zenit senza troppe speranze, chiedendosi se la Torre fosse già visibile. Ma riusciva a vedere solo pochi metri, ancora illuminati dal debole splendore aurorale, del nastro sottile che il Ragno risaliva speditamente. Quel nastro minuscolo da cui dipendeva la sua vita, e la vita di altre sette persone, era così uniforme e monotono che non lasciava affatto intuire la velocità della capsula. Morgan trovava difficile credere che stava sfrecciando a più di duecento chilometri l'ora. E quel pensiero lo riportò d'improvviso all'infanzia, e lui seppe perché si sentiva così felice.