Читаем Le sabbie di Marte полностью

«Questo è vero, ma anche se il problema della colonizzazione di Marte è infinitamente più complesso, non bisogna dimenticare che oggi abbiamo a nostra disposizione forze infinitamente maggiori di allora. Purché ci sia concesso tempo e materiali, possiamo fare di questo mondo un paese facile e comodo da abitare quanto la Terra. Già adesso non sono molti coloro che desiderano tornare indietro, perché capiscono l’importanza di quello che stanno creando. Forse la Terra oggi non ha ancora bisogno di Marte, ma un giorno ne avrà.»

«Vorrei potervi credere» disse Gibson senza molta convinzione. E indicò la lussureggiante distesa verde che lambiva come un oceano affamato la cupola pressoché invisibile della città, la sterminata pianura che fuggiva con tanta rapidità oltre il limite dell’orizzonte stranamente angusto, l’arco di alture vermiglie nelle cui braccia si adagiava la piccola colonia. «Marte è un mondo interessante, bello anche. Ma non potrà mai essere come la Terra.»

«E perché dovrebbe esserlo? E poi che cosa intendete per Terra, prima di tutto? Intendete forse le pianure del Sud America, i vigneti di Francia, le isole coralline del Pacifico, o le steppe siberiane? Perché Terra è ciascuno di questi luoghi! Ovunque l’uomo riesca a trovare una possibilità di esistenza, là è la sua terra. Ebbene, presto o tardi gli uomini saranno in grado di vivere su Marte senza bisogno di tutta questa roba.» E con ampio gesto indicò la cupola che racchiudeva la città e le dava vita.

«Credete davvero che gli uomini riusciranno ad adattarsi all’atmosfera esterna?» disse Gibson. «Ma se vi riuscissero non resterebbero più tali per molto tempo: si trasformerebbero radicalmente!»

Per un attimo il Presidente non rispose. Quindi disse con voce calma: «Io non ho parlato della possibilità per gli uomini di condizionarsi a Marte. Non avete mai riflettuto invece alla eventualità che possa essere Marte a condizionarsi a noi?»

Lasciò a Gibson giusto il tempo sufficiente per meditare su queste parole, quindi, prima che il suo ospite avesse la possibilità di formulare le domande che gli si affollavano nella mente, Hadfield si alzò.

«Bene, spero che Whittaker si occuperà di voi come si deve, e vi mostrerà tutto quello che avete interesse di vedere. Vi renderete certamente conto che la situazione dei trasporti è alquanto difficile, ma vi porteremo ugualmente a visitare tutte le località più lontane purché ci diate il tempo per predisporre i preparativi necessari. Fatemi sapere se incontrerete difficoltà.»

Il congedo era cortese ma definitivo. L’uomo più importante di Marte aveva concesso a Gibson una larga parte del suo tempo, e gli interrogativi che il giornalista era così ansioso di porgli dovevano aspettare un’occasione migliore, per avere una risposta.

«Che cosa pensate del Capo, adesso che l’avete conosciuto?» chiese il maggiore Whittaker quando Gibson tornò nell’anticamera.

«È stato gentilissimo e pieno di premure» rispose cauto Gibson. «Mi sembra un entusiasta di Marte, vero?»

Whittaker si morse le labbra.

«Credo che entusiasta non sia la parola esatta. Ritengo piuttosto che il Presidente consideri Marte come un nemico da sconfiggere. E così lo consideriamo tutti, naturalmente, ma lui ne ha più motivo di noi. Avete saputo di sua moglie, vero?»

«No.»

«È stata una delle prime persone a morire di febbre marziana, due anni dopo il suo arrivo qui.»

«Oh, capisco» disse Gibson, pensoso. «Ecco perché gli interessa tanto trovare un rimedio.»

«Infatti ci tiene moltissimo. D’altronde quella febbre è una grave minaccia per noi. Su Marte non possiamo permetterci il lusso di ammalarci.»

Quest’ultima osservazione, rifletté Gibson nell’attraversare Broadway (così chiamata perché era la strada principale della cittadina, con una larghezza di ben quindici metri), riassumeva perfettamente la situazione della colonia. Non si era ancora riavuto del tutto dalla delusione iniziale nel constatare quanto fosse piccolo Porto Lowell e sino a che punto mancasse delle comodità e dei lussi a cui era abituato sulla Terra. Con le sue file di piccole case di metallo tutte uguali e i pochi edifici più grandi, nonostante che gli abitanti avessero fatto del loro meglio per rallegrarlo con fiori terrestri, Porto Lowell sembrava più un accampamento militare che una città. E a proposito dei fiori, a causa della scarsa gravità, essi avevano raggiunto proporzioni smisurate, tanto che Oxford Circus era adesso tutto un’esplosione di girasoli alti tre volte un uomo; e benché cominciassero a essere ingombranti nessuno aveva il coraggio di proporne la rimozione. Ma se avessero continuato a crescere con quel ritmo, presto ci sarebbe voluto un taglialegna esperto per abbatterli senza mettere in pericolo l’ospedale cittadino.

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