La comunicazione venne chiusa. Pensoso ma assai soddisfatto, Gibson depose il ricevitore. Quello che il Presidente gli aveva detto corrispondeva esattamente alla verità. Era arrivato da un mese circa, e in quei trenta giorni il suo atteggiamento nei riguardi di Marte era mutato radicalmente. Le prime emozioni entusiastiche e un poco infantili erano durate solo pochi giorni, le successive delusioni, un po’ più a lungo. Ora conosceva a sufficienza la colonia per considerarla con un interesse più distaccato sì, ma non del tutto razionale. Esitava ad analizzare questo suo stato d’animo per timore di distruggerlo totalmente. Esso proveniva in parte, lo sapeva, dal rispetto sempre crescente per le persone che lo circondavano. Le ammirava per la loro competenza, per il buon senso, per la prontezza e, al tempo stesso, il freddo calcolo con cui sapevano affrontare rischi anche gravi, tutte qualità che avevano consentito loro non solo di sopravvivere in un ambiente ostile ma di gettare le fondamenta della prima civiltà extra-terrestre.
Finalmente era venuta per lui la prima vera occasione di conoscere Marte più da vicino. Mercoledì sarebbe partito in volo per Porto Schiaparelli, la seconda città del pianeta, situata a dieci chilometri in direzione est, nel Trivium Charontis. Il viaggio era stato progettato sin da quindici giorni, ma ogni volta era successo qualcosa che l’aveva rimandato. Avrebbe dovuto avvertire Jimmy e Hilton di tenersi pronti… erano stati i fortunati del sorteggio. Forse Jimmy adesso era meno entusiasta di partire di quanto lo sarebbe stato all’inizio. Il ragazzo doveva contare ansiosamente i giorni che ancora gli restavano da passare su Marte e tutto quello che lo teneva lontano da Irene doveva irritarlo. Ma se avesse rifiutato un’occasione come quella, Gibson sentiva che gli avrebbe tolta gran parte della sua stima e del suo affetto.
«Niente male, vero?» disse con orgoglio il pilota. «Ce ne sono soltanto sei come questo su Marte. È stato un vero mostro di abilità l’uomo che ha progettato un simile apparecchio a reazione, capace di volare in una atmosfera come questa, anche se la scarsa gravità ci viene un poco in aiuto.»
Gibson non era abbastanza esperto in aerodinamica per apprezzare le doti particolari del velivolo. Aveva solo notato che le ali avevano una larghezza insolita. I quattro motori a reazione erano abilmente dissimulati rasente alla fusoliera, e la loro posizione era svelata soltanto da un lieve rigonfiamento. Se avesse visto un apparecchio come quello su un qualsiasi aeroporto terrestre Gibson non ci avrebbe fatto caso. Forse sarebbe stato colpito soltanto dal massiccio carrello d’atterraggio. Quella era una macchina costruita per volare veloce e percorrere lunghe distanze, e adatta ad atterrare su qualsiasi superficie.
Salì a bordo dopo Jimmy e Hilton e si sistemò il più comodamente possibile nello spazio ristretto. Quasi tutta la cabina era ingombra di grosse casse saldamente assicurate. Forse un carico urgente per Skia.
I motori aumentarono rapidamente i giri finché il loro gemere stridulo raggiunse il limite massimo di sopportazione dei timpani. Seguì la normale pausa dedicata dal pilota all’esame degli strumenti e dei controlli, infine i turbogetti si aprirono al massimo e la pista di lancio prese a slittare sotto di loro. Pochi secondi dopo ci fu l’improvviso, rassicurante scoppio d’energia mentre i razzi di decollo s’accendevano e l’aereo veniva sollevato senza sforzo nel cielo. L’apparecchio acquistò quota e puntò deciso in direzione sud, quindi virò a destra descrivendo un ampio cerchio sopra la città.
Poco dopo l’aereo filava verso est, e la grande isola dell’Aurorae Sinus sparì oltre l’orlo del pianeta. Il deserto aperto si stendeva ora sotto di loro per migliaia e migliaia di chilometri, punteggiato da scarse oasi.
Il pilota passò sul comando automatico, e si spostò nella parte centrale della carlinga a parlale con i suoi passeggeri.
«Saremo a Charontis tra quattro ore circa» annunciò. «Temo che non troverete gran che d’interessante da vedere lungo il percorso, anche se ci saranno alcuni begli effetti di colore quando saremo verso l’Eufrate. Ma fino alla Sirte Maggiore è tutto più o meno un deserto uniforme come quello che vedete adesso.»
Gibson eseguì un rapido calcolo mentale.
«Vediamo un po’… voliamo in direzione est e ci siamo messi in viaggio piuttosto tardi… sarà buio, quando arriveremo!»
«Non preoccupatevi. Quando saremo a duecento chilometri ci collegheremo col radiofaro di Charontis. Marte è talmente piccolo che è difficile compiere un viaggio di lunga durata tutto di giorno.»
«Da quanto tempo siete su Marte?» gli chiese Gibson, che aveva finalmente smesso di fare fotografie attraverso i finestrini.
«Da cinque anni.»
«E volate continuamente?»
«Più o meno.»
«Non preferireste viaggiare sulle navi spaziali?»