Quando l’apparecchio fu quasi sopra la città, la spia della radio si accese, e il pilota allungò il braccio per premere l’interruttore. Nello stesso istante la porta della cabina si aprì a Raven avanzò all’interno.
— Buona sera — disse rivolgendosi a Thorstern.
Con la mano sospesa a mezz’aria, il pilota diede una rapida occhiata fuori dal finestrino per accertarsi che stavano ancora volando, poi sbottò: — Ma come diavolo…
— Clandestino a rapporto, signore — disse Raven sogghignando. — E ce n’è un altro appollaiato sul pattino, più grosso di me. — Rivolse la sua attenzione a Thorstern e vide che stava guardando con insistenza un piccolo scomparto. — Non lo farei se fossi in voi — lo ammonì Raven con un tono di voce tanto normale da risultare estremamente minaccioso.
Il pilota decise che poteva rispondere alla radio e premette il pulsante. — Qui Corry.
Dal piccolo altoparlante uscì una voce squillante. — Dite al signor Thorstern di prendere la pistola e sparare attraverso il pavimento. I due che cerchiamo sono attaccati ai pattini di atterraggio.
— Lo sa — rispose il pilota.
— Lo sa?
— Proprio così!
— Mio Dio! — La voce parve rivolgersi a delle persone che gli stavano accanto. — Dice che il capo lo sa. — Tornò a parlare al microfono. — Cos’ha intenzione di fare?
— Niente — rispose il pilota.
— Niente? Com’è possibile?
— Non chiedetelo a me. Io sono il pilota.
— Non vorrete… — La voce si interruppe all’improvviso, poi si sentì lo scatto della radio che veniva spenta.
— È giunto a una conclusione — disse Raven. — Ha pensato che voi e il signor Corry foste legati saldamente… che fossi
— Voi, chi siete? — chiese Corry con il tono di chi considera vagabondi tutti quelli che saltano a bordo di velivoli in moto.
Thorstern fece finalmente udire la sua voce. — Lasciate perdere… non potete fare niente.
Il suo cervello preoccupato espose un interessante esempio di come i pensieri incongruenti aumentino a volte nei momenti di crisi. Thorstern era assolutamente sconvolto. Giudicando da quanto era successo al castello, lui si trovava in una posizione pericolosa, aveva ottimi motivi per credere che la sua vita fosse in pericolo e che quanto prima avrebbe raggiunto il povero Greatorex. A tutto questo doveva aggiungere una specie di senso di colpa per essere andato a cercare i guai e per non potersi quindi lamentare, di averli trovati.
In quel momento, invece, Thorstern pensava ad altre cose.
— Ma voi avete una scorta… Avete me e il mio amico — disse Raven. Poi aprì lo sportello. — Venite. Dobbiamo scendere.
Thorstern si alzò lentamente.
— Mi romperò il collo.
— Andrà tutto bene. Ci siamo noi a sostenervi.
— Potreste cambiare idea e lasciarmi precipitare, no?
— No.
Il pilota intervenne nella discussione. — Se siete dei levitanti vi devo avvisare che è contro la legge saltare da un apparecchio in volo sopra una città.
Raven non gli fece caso e continuò a parlare con Thorstern.
— Comunque, avete altre alternative. Potete tentare di prendere la pistola che c’è nel cassetto e vedere cosa succede. Oppure potete tentare la fuga balzando dall’apparecchio in volo e scoprire a che altezza sapete rimbalzare. O far precipitare l’elicottero e trasformarlo in un rogo. Se invece scendete con noi, toccherete terra incolume.
— Questo si chiama usare il buonsenso — disse Raven. — Restate con noi fino a quando non faremo un passo falso. Poi ci potrete sbranare.
— So che siete un telepate e che potete leggere i miei pensieri — disse Thorstern avvicinandosi allo sportello. — So che potete fare anche molto di più. Sono impotente di fronte a voi… per ora…