Era troppo, perché colpiva Thorstern nel suo punto debole. Gioiva degli insulti perché erano un riconoscimento alla sua forza e abilità. Apprezzava le inimicizie perché il sapere di essere temuto esaltava il suo Io. Considerava le gelosie come una forma contorta di venerazione. L’odio gli serviva per elevarsi. L’unica cosa che non poteva sopportare era l’essere considerato un individuo senza importanza, un buono a niente, un accattone di cicche. Non tollerava che qualcuno lo giudicasse una nullità.
Livido in volto, si alzò. Nervosamente infilò una mano nella tasca e prese tre fotografie che lanciò sul tavolo.
— Voi avete delle buone carte in mano, e vi possono esaltare. Ma io le conosco. Ora, date un’occhiata alle mie. Non sono tutte, naturalmente. Le altre non le vedrete mai.
Raven raccolse quella che stava sopra le altre e l’osservò senza scomporsi. Era una sua foto alquanto vecchia e leggermente sfuocata. Tuttavia, poteva servire abbastanza bene per una identificazione.
— Viene proiettata dagli spettroschermi ogni ora — disse Thorstern, con malvagio compiacimento. — Copie di questa foto vengono a mano a mano distribuite a tutte le pattuglie. Entro mezzogiorno di domani, tutti conosceranno la vostra faccia… e la taglia spingerà tutti a darvi la caccia. — Fissò Raven con un’occhiata di trionfo. — Più duro sarete con me, più inflessibili saranno gli altri nei vostri riguardi. Siete riuscito a sbarcare su questo pianeta nonostante i preparativi fatti per arrestarvi all’arrivo. Provate ora ad andarvene. — Si girò verso Charles. — Questo riguarda anche voi, grassone.
— Non è vero. Io non ho nessuna intenzione di partire. — Charles si accomodò meglio sulla poltrona. — Mi trovo bene qui. Venere mi piace… come potrebbe piacermi una qualsiasi altra palla di polvere. A ogni modo il mio lavoro si svolge qui. Come farei senza lavoro?
— Quale lavoro?
— Questo — disse Charles — non riuscireste a capirlo.
— Porta a passeggio i cani, ma si vergogna a dirlo — spiegò Raven. Mise la sua foto sul tavolo e prese la seconda. Improvvisamente si irrigidì.
— Cosa gli avete fatto? — chiese girando la foto verso Thorstern.
— Io? Niente.
— Avete fatto fare lo sporco lavoro per procura.
— Io non ho dato istruzioni precise — disse Thorstern, colto alla sprovvista per la reazione di Raven. — Io ho detto soltanto di prendere Steen e di fargli dire cos’era successo. — Portò nuovamente lo sguardo alla fotografia e assunse l’espressione di uno che deplori quello che sta osservando. — E così loro hanno fatto.
— Devono essersi divertiti parecchio a giudicare da come l’hanno conciato. — Raven era seccato e lo dimostrava apertamente. — Steen è morto senza colpa. Comunque, non rimpiango la sua fine come non deve averla rimpianta lui.
— Davvero? — disse Thorstern, sorpreso per il commento tanto in contrasto con la reazione di Raven.
— La sua fine non ha la minima importanza. Prima o poi sarebbe venuta anche fosse vissuto cent’anni. — Raven lasciò cadere la fotografia sul tavolo. — Deploro soltanto che la sua fine sia stata lenta. Deve aver impiegato parecchio a morire e questo è un male. Una cosa imperdonabile. — Improvvisamente i suoi occhi divennero scintillanti. — Tutto questo sarà ricordato, quando verrà il vostro turno.
Di nuovo Thorstern sentì un brivido freddo percorrergli la schiena e si sforzò di dominare la paura: la paura era una cosa che non poteva ammettere. Aveva giocato le sue carte, nella speranza che potessero servire come ammonimento, ma doveva ammettere che forse aveva sbagliato.
— Sono andati oltre i miei ordini. E ho rimproverato i miei uomini severamente — disse.
— Li ha rimproverati — disse Raven rivolgendosi a Charles. — Che carino!
— Si sono giustificati dicendo che Steen era cocciuto e che li ha costretti ad andare oltre le loro intenzioni. — Thorstern decise che era il caso di restare su quell’argomento. Nessuna pattuglia aveva risposto ai loro discorsi sul delitto. Forse qualcuna avrebbe captato il loro colloquio su Steen. Qualsiasi forma di temporeggiamento avrebbe potuto portare a buoni risultati. — Hanno usato un telepatico per leggere nella sua mente. È rimasto a una certa distanza per evitare che Steen lo sistemasse. Ma è stato inutile. Riuscivano a leggere soltanto quello che Steen stava pensando, e pensava sempre ad altre cose. Così hanno cercato di convincere Steen con altri mezzi a rivelare cosa lo avesse costretto a giocarci quello scherzo. — Allargò le braccia in un gesto sconsolato. — Quando ha cominciato a collaborare era ormai troppo tardi.
— Sarebbe a dire?
— La sua mente aveva smesso di ragionare, come quella di Haller. Ha cominciato a balbettare cose folli, poi è morto.
— Quali sarebbero state, queste cose folli?
— Diceva che voi eravate un tipo assolutamente nuovo e insospettato di mutante. Che avete un Io separabile. Che gli avete preso il corpo contro la sua volontà.