O disponevano di telepatici che tenevano gli agenti armati al corrente delle sue intenzioni? Certo, in quel momento, non potevano ancora aver dato ordine di trattenere il fuoco, perché lui esitava, non aveva ancora preso la decisione. Un telepatico poteva leggere i suoi pensieri, ma non poteva certo prevedere il momento esatto in cui li avrebbe messi in atto. No, non c’era scampo in quel senso.
La porta smise di muoversi e rimase aperta in maniera invitante. Il salto verso il buio della strada lo tentò.
Ma che diavolo stavano aspettando? Avevano paura di poterlo colpire durante l’irruzione nella stanza? Avevano forse un piano che richiedeva un’azione simultanea da parte sua? In nome del cielo, perché stavano aspettando?
Altra nebbia entrò nella stanza. Thorstern se ne accorse solo in quel momento e subito gli balenò quella che poteva essere la possibile soluzione. Il gas! Certo, quella doveva essere l’idea. Mescolare il gas con la nebbia. Quelli del castello, quelli che conoscevano la stanza Numero Dieci, dovevano aver suggerito l’idea. Lui non doveva fare altro che restarsene tranquillo e cadere a terra addormentato con quelli che lo tenevano prigioniero.
Era probabile che Raven e il grassone sapessero quello che stava succedendo. La nebbia era ormai perfettamente visibile, e lui aveva pensato al gas con molta chiarezza… A meno che non fossero troppo occupati a scrutare nelle menti di chi stava in agguato all’esterno. Un telepatico poteva leggere in più di un cervello alla volta? Thorstern non lo sapeva, mancava di dati al riguardo. Comunque, anche nelle menti degli altri doveva esserci un solo pensiero. Il gas! Cosa potevano fare per difendersi? Niente! Anche i mutanti, come tutti gli esseri normali, non potevano fare a meno di
Annusò l’aria per scoprire l’invisibile arrivo dell’arma che lo avrebbe liberato, anche se sapeva che doveva essere inodore. Ma c’erano altri segni capaci di indicare la presenza del gas: il rallentamento delle pulsazioni, una respirazione leggermente più affannosa, una improvvisa confusione della mente.
Si controllò per scoprire uno dei sintomi, e rimase in attesa per una manciata di secondi interminabili. Poi crollò. La tensione era diventata insopportabile e lui non poteva più aspettare.
Si mise a gridare con voce agonizzante. — Non sparate! Non sparate! — Si lanciò con un balzo verso la porta. — Sono io! Sono Thor…
La voce gli morì nella gola.
Rimase con gli occhi fissi verso il buio della notte. E passarono diversi secondi prima che la sua mente comprendesse la verità.
Poi accadde l’inatteso, l’avvenimento che sconvolge i piani meglio studiati: fu il tremendo sforzo nervoso di Thorstern a provocarlo.
Fermo sulla soglia, di fronte a una strada deserta, con la certezza che le pattuglie armate dovevano trovarsi nelle vicinanze, Thorstern sollevò un piede per fare il primo passo verso la libertà. Ma si fermò.
Rimase immobile, e sulla faccia gli comparve un’espressione di sgomento. Appoggiò il piede a terra e si lasciò cadere in ginocchio, come di fronte a una divinità invisibile. Un turbine di pensieri agitati trovò espressione in una serie di frasi e di parole prive di legame.
— No… oh,
Cadde in avanti, scosso da un tremito violento. Raven gli si chinò accanto e Charles si alzò di scatto dalla poltrona, sinceramente sorpreso. Mavis comparve sulla soglia della cucina e fissò la scena con sguardo di condanna ma non disse niente.
Raven afferrò la mano destra dell’uomo disteso a terra, e immediatamente le contorsioni cessarono; sempre stringendo, cominciò a scuotere il braccio come se avesse toccato un filo percorso da alta tensione. Sembrava che stesse combattendo contro una entità invisibile. Thorstern aprì le labbra e boccheggiò come un pesce fuor d’acqua.
— No, no, andate via… lasciatemi… io…
Charles andò all’altro lato dell’uomo disteso e aiutò Raven a trasportarlo su una poltrona. Mavis chiuse la porta, poi rientrò in cucina, accigliata.