Una fornace mugghiante. La calura è sconvolgente. Altre volte, in passato, sono stato in contatto con menti turbinanti, anche molto più veementi di questa; ma è accaduto quando ero più giovane, più forte, con una maggiore capacità di recupero. Non ce la faccio a dominare un’esplosione del genere. L’intensità del suo disprezzo verso di me è moltiplicata all’ennesima potenza dall’intensità dell’autocommiserazione che prova perché ha bisogno dei miei servizi. È un ammasso di odio. E il mio povero potere che sta indebolendosi non lo sopporta. Una specie di automatismo di sicurezza lo taglia fuori per proteggermi da un sovraccarico; i ricettori mentali scattano da soli. È un’esperienza nuova per me, strana, questo fenomeno di difesa automatica da sovraccarico. È come se le membra cascassero giù, orecchie, palle, tutto quello che c’è a disposizione non lasciando nulla al di fuori di un torso ben levigato. La ricezione percepita, la mente di Yahya Lumumba si ritira e mi diventa inaccessibile e mi ritrovo a capovolgere involontariamente il processo di penetrazione fin quando non riesco a sentire altro che le sue emanazioni più superficiali, poi neanche quelle, soltanto una grigia trasudazione pelosa che segna la sua semplice presenza accanto a me. Tutto è indistinto. Tutto è confuso.
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Nei suoi momenti più accesamente dostoievskiani, David Selig amava pensare al suo potere come a una maledizione, una punizione selvaggia per un qualche peccato immaginario. Il marchio di Caino, forse. È certo che la sua particolare abilità gli aveva procurato un sacco di guai, ma nei momenti più equilibrati sapeva che definirla una maledizione era un’idiozia, pura e melodrammatica autoindulgenza. Il potere era un dono divino. Il potere portava all’estasi. Senza il potere lui non era niente, zero; con esso, era un dio. E questa sarebbe la maledizione? È una cosa così terribile? Qualcosa di curioso succede quando gamete incontra gamete, e il destino urla: vieni qui, Bambino-Selig: sii un dio! Tu disprezzeresti questo? Sofocle, a 88 anni più o meno, esprimeva il suo grande sollievo per essere sopravvissuto agli stimoli delle passioni fisiche. Alla fine mi sono liberato da un padrone tirannico, diceva quel saggio felice. Potremmo mai immaginare che Sofocle (se Zeus gli avesse offerto la possibilità di modificare, in senso retroattivo, l’intero corso della sua vita) avrebbe scelto un’impotenza lunga quanto tutta la sua esistenza? Non raccontare storie a te stesso, David: non importa se la telepatia ti ha fatto qualche brutto tiro, e te ne ha fatto di sporche. Senza, non ce l’avresti fatta neanche per un minuto. Perché il potere ti portava all’estasi.
Il potere portava all’estasi. Tutto il succo del problema in una sola frase incisiva. I mortali sono nati in una valle di lacrime e prendono il piacere dove possono. C’è chi, alla ricerca del piacere, si rivolge al sesso, alle droghe, all’ubriachezza, alla televisione, al cinema, al gioco, alla borsa, alle corse, alla roulette, al sadomasochismo, a raccogliere le prime edizioni, alle crociere nei Caraibi, all’oppio, ai poeti anglosassoni, abiti di gomma, calcio professionistico e così via. Non lui, non il maledetto David Selig. Tutto quello che lui doveva fare era starsene tranquillamente seduto con i suoi sensi aperti, e assorbire le ondate di pensiero portate dalla brezza telepatica. Con la più grande facilità viveva un centinaio di vite alternative. Rimpinzava la sua cassaforte con il bottino di un migliaio di anime. Estasi. Naturalmente, i momenti d’estasi appartenevano ormai quasi tutti al passato.