Читаем Morire dentro полностью

— È un’altra faccenda. Era tanto tempo fa. Capisco che cosa stai attraversando adesso. Hai qualche idea del perché lo stai perdendo?

— No. Una funzione dell’invecchiamento, penso.

— C’è qualcosa che può averlo fatto arrestare?

— Ne dubito, Jude. Anzitutto io non so neppure perché ce l’ho, il dono: figurati se posso sapere come rinvigorirlo. Non so come funziona. È qualcosa che è nella mia mente, una stramberia genetica, una cosa con cui sono nato, come le lentiggini. Se le tue lentiggini cominciano a scomparire, riesci a immaginarti una qualche maniera per farle restare, ammesso che tu lo voglia?

— Non hai mai permesso che ti studino?

— No.

— Perché no?

— Non mi piace che la gente curiosi nella mia testa più di quanto riesci a fare tu — dico con dolcezza. — Non ho nessuna voglia di diventare un caso storico. Mi sono sempre tenuto nell’ombra. Se mai il mondo dovesse accorgersi di me, diventerei un paria. Probabilmente sarei linciato. Lo sai quante sono le persone alle quali ho detto su di me la verità? In tutta la mia vita?

— Una decina.

— Tre — dico io. — E preferirei non averne parlato con nessuno.

— Tre?

— Tu. Suppongo che tu sospettassi tutto da tanto tempo, ma non sei arrivata a esserne sicura prima dei sedici anni, ricordi? C’è poi Tom Nyquist, che non ho più rivisto. E una ragazza che si chiama Kitty; anche lei non l’ho più rivista.

— E quella brunetta alta?

— Toni? Non gliel’ho mai detto esplicitamente. Ho cercato di tenerglielo nascosto. Lo ha scoperto indirettamente. Un casino di gente può averlo scoperto indirettamente. Io, però, l’ho rivelato solo a tre persone. Non ho nessuna voglia di passare per anormale. Perciò lascia che se ne vada. Lascialo crepare. Che sollievo.

— Invece, tu hai bisogno di tenerlo stretto.

— Di tenerlo stretto e di lasciarlo andare, tutte e due le cose.

— È una contraddizione.

— Mi contraddico? Benissimo, allora io mi contraddico. In me non ho limiti, contengo moltitudini. Che cosa posso dirti, Jude? Che cosa posso dirti che corrisponda a verità?

— Soffri?

— Chi non soffre?

Lei dice: — Perderlo è quasi come diventare impotente, non è così, Duv? Penetrare in una mente e scoprire che non riesci a connettere… Una volta, dicevi che per te era un’estasi. Questo fluire di informazioni, quest’esperienza sostitutiva. E adesso non la provi più come prima, o addiritura ne sei privo. La tua mente non ce la fa più. La vedi anche tu in questo modo, quasi una metafora sessuale?

— Certe volte. — Le verso dell’altro vino. Per qualche minuto restiamo in silenzio, rimpinzandoci di spaghetti, scambiandoci larghi sorrisi, tentativi di aggancio. Sento quasi del calore verso di lei. Un senso di perdono per tutti quegli anni durante i quali mi ha trattato come un fenomeno da circo. «Duv, sporco fottuto, stattene fuori dalla mia testa oppure ti ammazzo! Voyeur. Ficcanaso. Stai alla larga, spione, stai alla larga.» Lei non aveva voluto che incontrassi il suo fidanzato. Temeva che gli dicessi dei suoi altri uomini, suppongo. «Mi piacerebbe, qualche giorno, trovarti morto nel canale, Duv, con tutti i miei segreti che imputridiscono dentro di te.» Tanto tempo fa. Forse adesso, Jude, noi ci amiamo l’un l’altro un pochino. Poco, poco. Però c’è da dire che tu ami me più di quanto io amo te.

— Non mi eccito più — dice lei improvvisamente. — Tu lo sai, ero solita venire sempre, praticamente ogni volta. L’autentica Hot Pants Kid, io. Però, circa cinque anni fa è successo qualcosa, all’incirca quando il mio matrimonio cominciò a frantumarsi. Un corto circuito giù, qui dentro. Cominciai a venire ogni cinque volte, ogni dieci volte. Sentivo che la capacità di rispondere mi scappava via. Giacevo là aspettando che succedesse, e, naturalmente, questo fatto tutte le volte lo spegneva. Alla fine non riuscii più a venire, proprio per niente. Anche adesso non ci riesco più. Non più negli ultimi tre anni. Sono stata a letto forse con un centinaio di uomini dopo il divorzio, concedendomi chissà quante volte, e neanche uno mi ha portata all’orgasmo, eppure alcuni di loro erano degli stalloni, dei tori veri e propri. Questa è una delle cose che Karl sta cercando di far funzionare in me. Per questo, Duv, io so che cosa si prova. Che cosa tu stai attraversando. Perdere il tuo migliore strumento per entrare in contatto con gli altri. Perdere gradatamente contatto con te stesso. Diventare un estraneo nella tua stessa mente. — Lei sorride. — E tu riesci a capire me? Le difficoltà che io devo aver avuto a letto?

Restò lì incerto, per un po’. Quello sguardo gelido nei suoi occhi la porta lontano. L’aggressività. Il risentimento che prova. Anche quando tenta di riuscire amabile, non riesce a trattenersi dall’odiare. Com’è fragile la nostra relazione! Siamo chiusi a chiave in una specie di rapporto di matrimonio, Judith e io, un antico matrimonio andato in fumo, tenuto in piedi coi punteruoli. Che inferno, però! — Sì — le rispondo. — Ti capisco.

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