Читаем Morire dentro полностью

Bob Larking, con molto tatto, era rimasto fuori, nel suo lungo ingresso rivestito di carte da parati con abbacinanti illusioni ottiche in bianco e nero, per tutto il tempo della nostra breve conversazione sotto voce. Di nuovo, quando riemersi, ritrovai in lui quel gentile sorriso spiacente.

— Grazie per avermi permesso per quest’ultima volta di infastidirti — dissi.

— Nessun disturbo. Va molto molto male tra te e Toni. — Annuii. — Sì: molto, molto male.

Ci guardammo in faccia vicendevolmente incerti, poi lui mi si avvicinò, affondando per un attimo le dita nel muscolo del mio braccio, dicendomi, senza parole, di adattarmici, di uscire fuori dalla bufera, di rimettermi in sesto. Era così spalancato che la mia mente, inaspettatamente, affondò dentro di lui e vidi la sua schiettezza, la sua bontà, la sua gentilezza d’animo, il suo dolore. Uscendo da lui un’immagine crebbe dentro di me, un amaro ricordo ormai sepolto: lui e una Toni tutta piangente, distrutta, due notti prima, che giacevano nudi insieme su un letto rotondo alla moda, la testa di lei appoggiata contro il petto muscoloso, villoso, di lui, mentre accarezzava dolcemente i pallidi seni sodi. Il corpo di lei tutto tremante per il bisogno. La sua mascolinità riluttante floscia che si dibatteva per offrirle la consolazione del sesso. Il suo spirito gentile in lotta contro se stesso, inondato di pietà e di amore per lei ma disgustato dalla sua femminilità che lo disturbava, quei seni, quella fessura, quella morbidezza. Non avertene, Bob, lei continua a ripetere, non avertene, proprio non avertene, ma lui le dice che lo desidera, è ormai ora che lo facciamo dopo che ci conosciamo da tanti anni, ti tirerà su, Toni, e comunque un uomo ha bisogno di qualche piccola distrazione, giusto? Il suo cuore è tutto riversato su di lei ma il suo corpo resiste, e il loro far l’amore, quando succede, è una cosa affrettata, patetica, goffa, un urtarsi di corpi tremanti riluttanti, che finisce in lacrime, tremolii, un’angoscia condivisa, e, infine, uno scoppio di risa, un trionfo sulla sofferenza. Lui toglie con i baci le sue lacrime; lei, con serietà, lo ringrazia per i suoi sforzi. Piombano in un sonno infantile, uno accanto all’altra. Quanta gentilezza, quanta tenerezza. Mia povera Toni. Arrivederci. Arrivederci. — Sono contento che sia venuta da te — dissi. Lui mi accompagnò all’ascensore. Che cosa dovrei fare, mettermi a urlare? — Se lei ne esce fuori sono sicuro che ti telefonerà — mi disse. Misi la mia mano sul suo braccio come lui aveva fatto con me, e gli rivolsi il miglior sorriso del mio repertorio. Arrivederci.

19

È questo il mio buco. Ventesimo piano in uno dei condomini di Marble Hill, Broadway, 228a Strada, inizialmente un progetto edilizio comunale per appartamenti tipo medio, adesso rifugio per emarginati e detriti vari di scarico urbano. Due stanze più servizi, cucinetta, corridoio. Un tempo nessuno avrebbe potuto entrare in questo complesso se non era sposato e con bambini. Adesso alcuni individui soli ci si sono infiltrati, adducendo a motivo la loro povertà. Le cose cambiano via via che la città decade; i regolamenti vanno in fumo. La stragrande maggioranza della popolazione del complesso è portoricana con una spruzzatina di irlandesi e di italiani. In questa tana di papisti un David Selig è un’enorme anomalia. A volte pensa di dovere ai suoi vicini una quotidiana, vigorosa interpretazione dello Sh’mà Yisroel, ma non ne conosce le parole. Kol Nidre, forse. Oppure il Kaddish. Questo è il pane di afflizione che i nostri antichi padri hanno mangiato nella terra d’Egitto. Lui è fortunato di essere stato condotto fuori dall’Egitto nella Terra Promessa.

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