Sembravi latente in tanti altri sensi, Kitty: un essere umano potenziale piuttosto che uno reale. Ti circondava un’aria di adolescenza. Sembravi più giovane di quanto eri realmente; se non avessi saputo che eri laureata avrei scommesso che avevi diciotto o diciannove anni. Non avevi letto granché al di fuori dei tuoi campi di interesse — matematica, elaboratori elettronici, tecnologia — e, dal momento che quelli non erano i miei campi, ero convinto che tu non avessi letto proprio niente di niente. Non avevi viaggiato; tutto il tuo mondo era limitato dall’Atlantico e dal Mississippi e il grande viaggio della tua vita era stata una vacanza estiva nell’Illinois. Non avevi neppure avuto molte esperienze sessuali: tre uomini (non è così?) in 22 anni, e soltanto con uno era stato un fatto serio. Così ti vidi come materiale greggio in attesa della mano dello scultore. Sarei stato il tuo Pigmalione.
Nel settembre 1963 traslocasti da me. Comunque stavi passando tanto di quel tempo accanto a me! Fosti d’accordo che non aveva senso continuare ad andare avanti e indietro. Mi sentii proprio sposato: calze umide appese sopra l’asta della tenda della doccia, uno spazzolino da denti extra sulla mensola, lunghi capelli scuri nel lavandino. Il tuo calore accanto a me nel letto ogni notte. Il mio ventre contro il tuo dolce caldo pube, yang e yin. Ti diedi alcuni libri da leggere: poesie, racconti, saggi. Con quanta diligenza li divorasti! Leggesti Trilling sul bus andando a lavorare e Conrad nelle tranquille ore dopo cena e Yeats una domenica mattina mentre ero fuori alla ricerca del
In momenti strategicamente calcolati parlai in modo confuso del mio interesse per i fenomeni extrasensoriali.
Lo esposi come se fosse un mio hobby, un freddo studio spassionato.
Ero affascinato, dissi, dalla possibilità di arrivare a una vera comunicazione mente a mente tra esseri umani. Fui attento a non sembrare un fanatico, per non svelare il mio caso; mantenni la mia disperazione fuori vista. Dal momento che veramente non riuscivo a leggere in te, mi riusciva più facile mirare a quell’obiettività scientifica più di quanto mi sarebbe riuscito con chiunque altro. E dovevo mirarci. La mia strategia non mi permetteva confessioni di nessun genere a nessuno. Io non dovevo tenerti, Kitty, non volevo che tu avessi motivi per considerarmi un’anormalità, oppure un lunatico. Soltanto un hobby, dunque. Un hobby.
Tu non riuscivi a credere all’ESP. Se non può essere misurata con un voltmetro o registrata su un elettroencefalografo, dicesti tu, non esiste. Sii più larga di vedute, protestai. Ci