Читаем Morire dentro полностью

Per essere precisi, veramente, all’origine egli si è sentito attratto dal Castello; l’azione non ha la sua radice in lui, per cui egli appare come un carattere passivo, alla stregua di Joseph K. La differenza sta nel fatto che Il Processo si apre in un momento che precede il culmine dell’azione… nel momento più lontano possibile, in realtà. Il Castello segue più da vicino l’antica regola di cominciare in medias res

, con K già chiamato e che sta tentando di arrivare al Castello.

Ma in ambedue i libri gli attacchi sono immediati. Joseph K. viene arrestato proprio nelle primissime righe del Processo, e la sua controparte, K, arriva a quella che lui ritiene essere l’ultima fermata prima del Castello nella prima pagina di quel romanzo. Da lì, ambedue i K si sforzano inutilmente di arrivare ai loro scopi (nel Castello, semplicemente di raggiungere la cima della collina; nel Processo

, dapprima di capire la natura del delitto, poi, vista l’inutilità di ogni sforzo, di venire assolto dalla colpa pur non comprendendola). Effettivamente ambedue superano le loro mete con l’azione successiva. Il Processo raggiunge il suo culmine nella stupenda scena della Cattedrale, come del resto la stragrande maggioranza delle singole terrificanti sequenze di ogni opera di Kafka: e lì dentro che K è condotto a rendersi conto che lui è colpevole, e che non potrà mai essere assolto; il capitolo seguente, che descrive l’esecuzione di K, è poco più di una banale appendice. Il Castello, meno completo che non Il Processo
, non ha una controparte della scena della Cattedrale (era, forse, Kafka incapace di escogitarne una?) e, perciò, artisticamente è meno soddisfacente del più breve, più intenso, più compattamente strutturato Processo.

Questa apparente semplicità, però, non impedisce che ambedue i romanzi appaiano costruiti sulla fondamentale struttura tripartita del ritmo tragico, dal critico Kenneth Burke distinta in «proposito, passione, percezione». Il Processo segue questo schema con risultati certo migliori di quanto non faccia l’incompleto Castello

: il proposito, quello di ottenere la grazia, viene via via esposto come una passione straziante quale ogni eroe immaginario ha sempre subito. Alla fine, quando Joseph K. è stato ridotto dal suo originale aggressivo atteggiamento di autofiducia in uno stato mentale atterrito, timido, ed è ovviamente pronto a capitolare di fronte alle forze della Corte, siamo ormai vicinissimi al momento finale della percezione.

L’agente che lo conduce sulla scena del momento culminante, è una figura classicamente kafkiana… il misterioso "collega italiano, che era alla sua prima visita alla città, che aveva molte conoscenze influenti, per cui di lui in banca si faceva gran conto". Il tema che permea tutta l’opera di Kafka, l’impossibilità della comunicazione umana, qui è ripetuto: benché Joseph abbia passata metà notte a studiare l’italiano per prepararsi alla visita, e perciò sia mezzo addormentato, lo straniero parla uno sconosciuto dialetto settentrionale che Joseph non riesce a capire. Poi — una pennellata comica, quasi una rifinitura — lo straniero passa al francese, ma questo è altrettanto difficoltoso da seguire, e i suoi grossi baffi frustrano ogni tentativo di Joseph di leggergli le parole sulle labbra.

Una volta arrivato alla Cattedrale, che gli era stato chiesto di illustrare all’italiano (il quale, e la cosa non ci sorprende, non rispetta per niente l’appuntamento), la tensione cresce. Joseph gironzola qua e là nella costruzione, vuota, oscura, fredda, illuminata soltanto da candele che tremolano lontano, mentre la notte inesplicabilmente comincia subito a scendere all’esterno.

È allora che il prete lo chiama e gli racconta la parabola del Guardiano della Porta. È soltanto quando il racconto è finito che noi ci rendiamo conto di non averlo capito per niente; ben lungi dall’essere quel semplice racconto che pareva all’inizio, si rivela complesso e difficile. Joseph e il prete discutono a lungo la storia, alla stregua di una coppia di dotti rabbini che disputano su un punto del Talmud. Lentamente le implicazioni vengono a galla, e, noi e Joseph, ci accorgiamo che la luce che esce dalla porta della Legge non sarà visibile per lui se non quando sarà troppo tardi.

Strutturalmente il romanzo, qui, è compiuto. Joseph ha avuto la percezione definitiva che la grazia è impossibile; il suo reato è ratificato e lui non può più essere graziato. La sua ricerca è terminata. L’elemento finale del ritmo tragico, la percezione che conclude la passione, è stato raggiunto.

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