Читаем Operazione Domani полностью

Giocherellai quasi per un giorno intero, aspettando, dimostrando a me stessa che potevo richiamare una foto di gruppo di qualunque anno e indovinare con buona approssimazione, solo guardando i visi maschili e le gambe femminili, il prezzo dell’oro (cali e rialzi), il periodo della foto in relazione al doppio ciclo delle macchie solari; e (dopo un po’, il che mi sorprese più di tutto il resto) riuscii anche a indovinare se la struttura politica era in fase di consolidamento o disgregazione.

Il mio terminale squillò. Nessun viso. Niente pacche sulle spalle. Solo un messaggio: — Si richiede al più presto un’analisi approfondita sulla possibilità che le epidemie di peste dei secoli sesto, quattordicesimo e diciassettesimo siano risultate da una cospirazione politica.

Wow! Ero finita in un manicomio e adesso ero chiusa a chiave con i suoi ospiti.

Al diavolo. Il problema era così complesso che per permettermi di studiarlo avrebbero dovuto lasciarmi in pace per un bel po’. La cosa mi stava bene. Ormai mi ero assuefatta alle possibilità del terminale di un computer coi fiocchi collegato a una rete di ricerca dati su scala mondiale; mi sentivo come Little Jack Horner.

Cominciai con l’elencare, per libera associazione, tutti gli argomenti possibili: peste, epidemiologia, pulci, topi, Daniel Defoe, Isaac Newton, cospirazioni, Guy Fawkes, massoneria, iniziati, Cabala, Rosacroce, Kennedy, Oswald, John Wilkes Booth, Pearl Harbor, Berretti Verdi, influenza spagnola, contenimento territoriale della peste, eccetera.

Tre giorni dopo, il mio elenco di possibili argomenti correlati alla domanda era dieci volte più lungo.

Nel giro di una settimana sapevo che una vita non sarebbe bastata a studiare in profondità tutto il mio elenco. Però mi avevano detto di mettermi all’opera, così cominciai, dando comunque una mia definizione a «al più presto»: studiavo coscienziosamente per almeno cinquanta ore la settimana, ma come e quando volevo, senza farmi fretta o sentirmi assillata… A meno che non fosse arrivato qualcuno a spiegarmi perché avrei dovuto lavorare più sodo o in maniera diversa.

La cosa continuò per settimane.

Venni svegliata nel cuore della notte dal mio terminale. Chiamata d’emergenza; andando a letto (sola, non ricordo perché) lo avevo spento come al solito. Risposi insonnolita: — Va bene, va bene! Parla, e sarà meglio per te che il discorsetto sia robusto.

Nessuna immagine. La voce di Boss disse: — Friday, quando si verificherà la prossima grande epidemia di Morte Nera?

Risposi: — Fra tre anni. In aprile. Partirà da Bombay e si diffonderà immediatamente nel mondo. Uscirà dal pianeta con la prima nave.

— Grazie. Buonanotte.

Lasciai ricadere la testa sul cuscino e mi rimisi diritta a sognare.

Mi svegliai alle sette in punto come sempre, restai immobile per diversi istanti e pensai, avvertendo un freddo sempre più forte; decisi che Boss mi aveva davvero chiamata nel mezzo della notte e che gli avevo dato quella risposta assurda.

Quindi ingoia il rospo, Friday, e sali i Tredici Scalini. Premetti l’interno uno. — Friday, Boss. Invoco l’infermità mentale temporanea per quello che ti ho detto stanotte.

— Idiozie. Ci vediamo alle dieci e quindici.

Ero tentata di passare le tre ore seguenti nella posizione del loto, a intonare mantra. Ma nutro la profonda convinzione che non ci si debba presentare nemmeno alla Fine del Mondo senza una buona colazione… Una decisione più che giustificata, visto che i piatti speciali per quel mattino erano fichi freschi con panna, stufato di manzo sotto sale con uova in camicia, e tartine all’inglese con marmellata d’arancia Knott’s Berry Farm. Latte fresco. Caffè colombiano di montagna. Tutto questo migliorò talmente la situazione che passai un’ora a cercare un rapporto matematico fra la storia passata della peste e la data che si era affacciata nella mia mente obnubilata dal sonno. Non ne trovai nessuno, però cominciavo a vedere che la curva prendeva forma quando il terminale, che avevo programmato in precedenza, mi avvertì che mancavano tre minuti.

Non mi ero fatta tagliare i capelli e rasare il collo, ma per il resto ero pronta. Mi presentai allo scoccare dell’ora. — Friday a rapporto, signore.

— Siediti. Perché Bombay? Credevo che Calcutta fosse un epicentro più adatto.

— Forse c’entrano le previsioni del tempo a lungo raggio e i monsoni. Le pulci non sopportano il caldo secco. L’ottanta per cento della massa corporea di una pulce è acqua, e se la percentuale scende al di sotto del sessanta, la pulce muore. Quindi i climi caldi e secchi fermeranno o impediranno un’epidemia. Però, Boss, questa faccenda non ha senso. Mi hai svegliata nel cuore della notte e mi hai fatto una domanda stupida e io ti ho dato una risposta stupida senza nemmeno svegliarmi. Probabilmente è uscita da un mio sogno. Ho avuto incubi sulla Morte Nera, e c’è stata davvero una brutta epidemia che è iniziata a Bombay. Milleottocentonovantasei e anni successivi.

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