La sua vera responsabilità, mi spiegò, era assicurarsi che ogni cosa fosse sistemata nel punto previsto e fosse saldamente legata contro le accelerazioni, e anche accertarsi nel modo più assoluto che le grandi porte per le merci, sui due lati, fossero a perfetta tenuta stagna ogni volta che venivano chiuse dopo essere state aperte.
Tom mi mostrò gli spazi della scialuppa riservata agli emigranti. — Abbiamo più nuovi coloni per Botany Bay che per tutti gli altri posti. Quando ripartiremo, la terza classe sarà quasi deserta.
— Sono tutti australiani? — chiesi.
— Oh, no. La maggioranza sì, però quasi un terzo non lo sono. Comunque hanno una cosa in comune. Tutti quanti conoscono bene l’inglese. È l’unica colonia che chieda la conoscenza di una lingua. Stanno cercando di fare in modo che l’intero pianeta abbia una sola lingua.
— Ne ho sentito parlare. Perché?
— Pensano che ci saranno minori probabilità di guerre. Può darsi… Ma le guerre più sanguinose della storia sono state guerre fratricide. Senza problemi di lingua.
Non avevo opinioni, quindi non commentai. Lasciammo la scialuppa dal portello passeggeri, e Tom lo chiuse dietro di noi. Poi mi ricordai di aver lasciato dentro una sciarpa. — Tom, l’hai vista? Sono certa che l’avevo nella stiva emigranti.
— No, ma la troveremo. — Si girò e aprì il portello.
La sciarpa era dove l’avevo lasciata cadere, fra due panche nella zona per i coloni. La feci passare al collo di Tom e abbassai il suo viso a livello del mio e lo ringraziai, e lasciai che la mia gratitudine arrivasse fino al punto che lui preferiva: abbastanza lontano, ma non troppo, perché lui era ancora in servizio.
Meritava i migliori ringraziamenti. Il portello aveva una serratura a combinazione. Adesso potevo aprirlo.
Quando tornai dall’ispezione alle stive e alla scialuppa, era quasi l’ora di pranzo. Shizuko, come sempre, stava facendo un lavoro o l’altro (non è necessario tutto il tempo di una donna per fare in modo che un’altra sia ben vestita e truccata.)
Le dissi: — Non voglio andare in salone. Voglio fare una doccia veloce, mettere un accappatoio e mangiare qui.
— Cosa desidera la signorina? Ordino.
— Ordina per tutte e due.
— Per
— Per te. Non voglio mangiare da sola. È semplicemente che non mi va di vestirmi per il salone. Non discutere. Chiedi il menù. — Mi avviai al bagno.
La sentii cominciare a ordinare, ma quando chiusi l’acqua lei era pronta con un salviettone morbido e gigantesco, e ne aveva uno più piccolo allacciato alla vita: la perfetta ragazza del bagno pubblico. Dopo che mi ebbe asciugata e aiutata a mettere l’accappatoio, il montacarichi squillò. Mentre lei tirava fuori la roba, io portai un tavolino nell’angolo dove avevo parlato con Pete-Mac. Shizuko corrugò la fronte ma non discusse; cominciò ad apparecchiare. Io chiesi musica al terminale e di nuovo scelsi brani ad alto volume, di rock classico.
Shizuko aveva messo in tavola un solo piatto. Girandomi verso di lei, così che le mie parole le arrivassero nonostante la musica, dissi: — Tilly, metti qui anche il tuo piatto.
— Cosa, signorina?
— Piantala, Matilda. La farsa è finita. Con questa sistemazione possiamo parlare.
Lei esitò un solo attimo. — Okay, signorina Friday.
— Meglio che mi chiami Marj, così io non dovrò chiamarti signorina Jackson. Oppure chiamami Friday, è il mio vero nome. Tu e io dobbiamo mettere le carte in tavola. Fra parentesi, la tua recitazione da cameriera è perfetta, ma non c’è più bisogno di preoccupartene quando saremo in privato. Dopo il bagno posso asciugarmi da sola.
Lei quasi sorrise: — Mi piace occuparmi di te, signorina Friday. Marj. Friday.
— Oh, grazie. Mangiamo. — Le misi il
Dopo qualche boccone (la conversazione procede meglio col cibo) dissi: — Tu cosa ci guadagni?
— Da cosa, Marj?
— Dal sorvegliarmi. Dal consegnarmi alla guardia di palazzo del Regno.
— Le tariffe sindacali. Pagate al mio boss. Dovrebbe esserci un premio per me, ma io nei premi ci credo solo quando li spendo.
— Vedo. Matilda, io taglio la corda a Botany Bay. Tu mi aiuterai.
— Chiamami Tilly. Davvero?
— Davvero. Perché io ti pagherò di più.
— Credi sul serio di potermi convincere tanto facilmente?
— Sì. Perché hai soltanto due scelte. — In mezzo a noi c’era un grosso cucchiaio da portata in acciaio. Lo presi, chiusi le mani sull’incavo, lo stritolai. — Puoi aiutarmi. O puoi morire. Di corsa. Cosa decidi?
Lei raccolse il cucchiaio mutilato. — Marj, non c’è bisogno di essere così melodrammatica. Escogiteremo qualcosa. — Col pollice raddrizzò l’acciaio contorto. — Qual è il problema?
Io restai a fissare il cucchiaio. — Tua madre era una provetta…
— E mio padre un bisturi. Come nel tuo caso. È per questo che mi hanno assunta. Parliamo. Perché lasci la nave? Se lo fai io passerò l’inferno.