Читаем Operazione Domani полностью

— Rispondimi! Dimmi cosa sono e dimmi come lo sai. Usa i test che preferisci. Prendi campioni per analisi di laboratorio. Ma dimmi cosa sono e quali segni lo indicano.

— Sei una ragazza cattiva, ecco cosa sei.

— Forse. Probabile. Ma di che tipo? Naturale? O artificiale?

— Gesù! Naturale, è ovvio.

— Sbagliato. Sono artificiale.

— Oh, piantala di fare la cretina! Rimettiti la camicia da notte e torna a letto.

Invece continuai a incalzarla. Le raccontai quale laboratorio mi aveva progettata, la data in cui mi avevano tolta dall’utero sintetico (il giorno della mia «nascita», anche se noi Pa veniamo lasciate in «cottura» un po’ più a lungo per accelerare la maturazione); la costrinsi ad ascoltare la descrizione della vita nell’asilo di un laboratorio di produzione. (Mi correggo: la vita nell’asilo dove sono cresciuta io; altri asili di laboratorio potrebbero essere diversi.)

Le diedi un riassunto della mia vita dopo aver lasciato il laboratorio; quasi tutte bugie, perché non potevo compromettere i segreti di Boss. Ripetei semplicemente ciò che avevo detto tanto tempo prima alla famiglia, che ero una specie di commessa viaggiatrice confidenziale. Non c’era bisogno di accennare a Boss perché Anita aveva deciso, anni addietro, che io lavoravo per una multinazionale, che ero una diplomatica che viaggia sempre in incognito; un errore comprensibile che ero stata lieta di incoraggiare badando bene a non negare.

Vickie disse: — Marjie, preferirei che non lo facessi. Una sfilza di bugie come questa potrebbe mettere in pericolo la tua anima.

— Io non ho anima. È questo che ti sto dicendo.

— Oh, smettila! Tu sei nata a Seattle. Tuo padre era un ingegnere elettronico, tua madre una pediatra. Li hai persi nel terremoto. Ci hai raccontato tutto di loro. Ci hai fatto vedere le foto.

— Mia madre era una provetta; mio padre un bisturi. Vickie, potrebbero esistere un milione o più di persone artificiali i cui certificati di nascita sono andati distrutti nella distruzione di Seattle. Impossibile contarli. Nessuno mette mai in un unico mazzo le loro bugie. Dopo quello che è successo questo mese, cominceranno a esserci un’infinità di persone come me nate ad Acapulco. Dobbiamo trovare appigli del genere per non essere perseguitati da gente ignorante e piena di pregiudizi.

— Il che significa che io sono ignorante e piena di pregiudizi!

— Significa che sei una dolce ragazza che è stata drogata di menzogne dai suoi genitori. Sto cercando di correggere l’errore. Ma se trovi che queste scarpe ti vanno comode, continua a portarle.

Chiusi il becco. Vickie non mi diede il bacio della buonanotte. Il sonno fu lento ad arrivare, per tutt’e due.

Il giorno dopo, facemmo finta che la discussione non ci fosse mai stata. Vickie non parlò di Ellen; io non parlai di persone artificiali. Ma quella che era iniziata come un’allegra spedizione si guastò. Finimmo le compere e ripartimmo verso casa con lo shuttle della sera. Non feci ciò che avevo minacciato; non chiamai Ellen appena arrivata a casa. Non mi ero scordata di Ellen; speravo semplicemente che aspettare un po’ avrebbe migliorato la situazione. Un gesto vigliacco, immagino.

All’inizio della settimana seguente, Brian mi invitò ad andare con lui a ispezionare un terreno per un cliente. Fu un viaggio lungo, piacevole. Consumammo il pasto a un hotel in campagna: una fricassea di presunto capretto, anche se quasi certamente era montone, innaffiata da ettolitri di birra leggera. Mangiammo sotto gli alberi.

Dopo il dolce (un’ottima torta di mirtilli) Brian disse: — Marjorie, Victoria mi ha raccontato una storia molto strana.

— Sì? E cosa?

— Amore, credimi, non te ne parlerei se Vickie non fosse così sconvolta. — Si fermò.

Io aspettai. — Sconvolta da cosa, Brian?

— Dice che tu le hai raccontato di essere una creatura sintetica che si finge un essere umano. Mi spiace, ma ha detto proprio questo.

— Sì, gliel’ho detto io. Non con queste parole.

Non aggiunsi spiegazioni. Dopo un po’, Brian disse dolcemente: — Posso chiederti perché?

— Brian, Vickie stava dicendo cose molto stupide sui tongani e io cercavo di farle capire che erano stupide e sbagliate, che stava facendo un torto a Ellen. Sono molto preoccupata per Ellen. Mi avete chiuso la bocca sull’argomento da che sono tornata a casa, e io sono rimasta buona, ma non potrò continuare a lungo. Brian, cosa facciamo per Ellen? È figlia tua, figlia mia. Non possiamo ignorare i torti che sta subendo. Cosa dobbiamo fare?

— Non sono necessariamente dell’opinione che si debba fare qualche cosa, Marjorie. Ti prego, non cambiare discorso. Vickie è terribilmente a terra. Io voglio solo chiarire l’equivoco.

Gli risposi: — Non ho cambiato discorso. Le ingiustizie nei confronti di Ellen sono il discorso, e non lo lascerò cadere. C’è qualcosa che renda inaccettabile il marito di Ellen? A parte i pregiudizi nei suoi confronti perché è tongano?

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