Trascinarono Brom al centro dell'accampamento e lo spinsero in ginocchio. Brom si accasciò su un fianco. Eragon osservava la scena con terrore crescente.
L'altro Ra'zac.ringhiò, tirò indietro la testa di Brom e fece per tagliargli la gola nuda. Proprio in quel momento si udì un fruscio sibilante, seguito dall'urlo del Ra'zac. Dalla spalla gli sporgeva una freccia. Il Ra'zac più vicino a Eragon si abbassò di colpo, schivando per un pelo una seconda freccia. Avanzò carponi.verso il compagno ferito; i due guardarono torvi le tenebre, sibilando infuriati. Non mossero un dito per fermare Brom quando questi si rialzò a fatica, intontito. «Sta' giù!» gridò Eragon.
Brom barcollò, poi cominciò ad avanzare verso il ragazzo. Mentre altre frecce saettavano per il campo, scoccate da invisibili arcieri, i Ra'zac si. rifugiarono dietro alcuni massi. Ci fu una breve tregua, poi altri dardi arrivarono dalla direzione opposta. Colti di sorpresa, i Ra'zac reagirono al rallentatore. I loro mantelli furono perforati in diversi punti, e una freccia vagante si andò a seppellire nel braccio di uno.
Con un grido selvaggio, il Ra'zac più basso fuggì verso la strada, sferrando un calcio malevolo al fianco di Eragon mentre passava. Il compagno esitò, poi raccolse il pugnale da terra e lo seguì. Mentre lasciava l'accampamento, scagliò il pugnale contro Eragon.
Una strana luce risplendette negli occhi di Brom. Si gettò davanti a Eragon, la bocca socchiusa in un ringhio muto. Il pugnale lo colpì con un tonfo sommesso, e il vecchio crollò riverso a terra. La testa gli ricadde di lato.
«No!» gridò Eragon, nonostante il dolore al fianco che lo costringeva a restare piegato in due. Udì dei passi.. ma i suoi occhi si chiusero e perse di nuovo i sensi.
MURTAGH
P
er lungo tempo Eragon fu consapevole soltanto del dolore lancinante al fianco. Ogni respiro una pugnalata, come se fosse stato colpito lui, e non Brom.
Aveva perso il senso del tempo: non sapeva dire se fossero passate settimane, o soltanto
pochi minuti. Quando alla fine tornò in sé, aprì gli occhi su un fuoco che ardeva a qualche metro di distanza. Aveva ancora le mani legate, ma l'effetto della droga doveva essere finito perché riusciva a pensare di nuovo con lucidità.
Lo straniero, che indossava logori abiti da viaggio, emanava un'aura tranquilla, rassicurante. Tra le mani reggeva un arco; al suo fianco un lungo spadone a una mano e mezza. In grembo aveva un corno bianco filigranato d'argento, e da uno stivale gli spuntava il manico di un pugnale. Il suo viso serio e gli occhi penetranti erano incorniciati da una massa di ricci castani. Sembrava di qualche anno più grande di Eragon, ed era appena più alto. Alle sue spalle era legato un cavallo grigio da battaglia. Lo straniero studiava Saphira, circospetto.
«Chi sei?» chiese Eragon, respirando a fatica.
Le mani dell'uomo strinsero l'arco. «Mi chiamo Murtagh.» La sua voce era bassa e controllata, ma venata d'emozione.
Eragon si fece passare le mani sotto le gambe, per averle davanti a sé. Strinse i denti quando il fianco gli mandò una fitta di dolore. «Perché ci hai aiutati?»
«I Ra'zac non sono soltanto nemici vostri. Li stavo seguendo.»
«Sai chi sono?»
«Sì.»
Eragon si concentrò sulle funi che gli legavano i polsi ed evocò il potere magico, ma all'ultimo istante esitò, sentendo lo sguardo di Murtagh su di sé. Infine decise che non gli importava. «Jierda!» borbottò. Le funi gli caddero recise dai polsi, e lui si massaggiò le mani per far circolare il sangue. Murtagh emise un fischio d'ammirazione. Eragon si fece forza e provò ad alzarsi, ma il dolore alle costole lo trattenne, e ricadde indietro, respirando a fatica tra i denti serrati. Murtagh fece per aiutarlo, ma Saphira lo fermò con un ringhio. «Ti avrei aiutato anche prima, ma quel tuo drago non mi ha permesso di avvicinarmi.»
«Si chiama Saphira» precisò Eragon.