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Shadrach nella fornace

Siamo nel 2012 e la popolazione del mondo è stata decimata dalle guerre batteriologiche. Il nostro pianeta è dominato da un vecchio e astuto tiranno che si fa chiamare Genghis II Mao IV Khan e che abita in un palazzo a forma di torre, nella Mongolia.Il Khan è ormai giunto al novantatreesimo anno d'età e lo mantengono in vita i trapianti che gli pratica il suo medico personale, Shadrach Mordecai, talmente devoto al proprio paziente da portare, impiantati nel corpo, una serie di "sensori" telemetrici con i quali controlla d'istante in istante le condizioni di Genghis Mao.Un'altra importante funzione di Mordecai è quella di dirigere tre distinte ricerche mediche, tutt'e tre miranti ad assicurare al vecchio tiranno l'immortalità fisica. La più avanzata delle tre è il Progetto Avatar, consistente nel trapiantare il cervello, e dunque la personalità, del Khan nel corpo di un uomo più giovane.Mordecai sa che il corpo in cui dovrà trapiantare il cervello del Khan è quello dell'erede designato, un giovanotto ignaro del suo destino (e, in generale, non troppo sveglio) chiamato Mangu; ma dopo qualche tempo scopre di dover sostituire Mangu. Inizia così per Mordecai un pericoloso gioco d'azzardo: se il piano difensivo da lui elaborato avrà successo, egli potrà diventare il padrone del mondo. Se non avrà successo, dovrà fare dono del suo corpo al rapace Genghis Mao.

Robert Silverberg

Научная Фантастика18+

Robert Silverberg

Shadrach nella fornace

1

Mancano nove minuti all’alba nella grande città di Ulan Bator, capitale del mondo ricostruito. Già da un po’ di tempo il dottor Shadrach Mordecai se ne sta sveglio sulla sua amaca, irrequieto, teso. Fissa torvo un circoletto luminoso verde, il volto rilucente del suo schermo informatico. Dallo schermo, lettere rosse annunciano il nuovo giorno:

LUNEDÌ

14 MAGGIO

2012

Come al solito, il dottor Mordecai è riuscito a mettere insieme solo qualche ora di sonno. L’insonnia lo ha perseguitato per tutto l’anno; l’irrequietezza dev’essere un messaggio dalla sua corteccia cerebrale, ma finora non è stato in grado di decifrarne il significato preciso. Oggi, se non altro, ha una scusa per alzarsi presto, perché lo aspettano grandi sfide e grandi tensioni. Il dottor Mordecai è il medico personale di Gengis II Mao IV Khan, Principe dei Principi e Presidente dei Presidenti — vale a dire, signore della Terra — e quest’oggi il vecchio Gengis Mao si sottoporrà a un trapianto del fegato, il terzo in sette anni.

Il leader mondiale dorme meno di venti metri più in là, in una suite accanto a quella di Mordecai. Dittatore e dottore occupano camere residenziali al settantacinquesimo piano della Gran Torre del Khan, un superbo edificio fusiforme dalle facciate d’onice che sorge arrogante dal tavoliere bruno e polveroso del paesaggio mongolo. In questo momento Gengis Mao dorme profondamente, gli occhi immobili sotto le palpebre spesse, la colonna vertebrale invidiabilmente rilassata, il respiro lento e regolare, il polso stabile, i livelli ormonali in ascesa, secondo la norma. Mordecai sa tutto questo perché porta con sé, inserite chirurgicamente nella carne delle sue braccia, delle sue cosce, dei suoi glutei, diverse decine di minuti noduli percettori che gli forniscono costanti informazioni telemetriche sullo stato dei segnali vitali di Gengis Mao. Ci è voluto un anno di addestramento a tempo pieno perché Mordecai imparasse a leggere quegl’input, le piccole contrazioni, i tremori, gli scatti, le sensazioni di prurito che sono gli equivalenti digitalizzati dei processi fisiologici fondamentali del Presidente; ma ora percepire e capire i dati è diventato una seconda natura per lui. Un prurito qui significa difficoltà digestive, una pulsazione là significa affaticamento della vescica, un pizzicore altrove tradisce uno squilibrio salino. Per Shadrach Mordecai è un po’ come vivere in due corpi allo stesso tempo, ma ci si è abituato. E così la preziosa vita del Presidente è protetta dal suo vigile medico. Gengis Mao ha un’età ufficiale di ottantasette anni e potrebbe essere ancora più vecchio, anche se il suo corpo, un collage di organi trapiantati e organi artificiali, è forte e vitale come quello di un cinquantenne. Desiderio del Presidente è posticipare la morte fino a quando la propria opera in terra non sarà completata: vale a dire, non morire mai.

Come riposa dolcemente ora! Mordecai ripercorre automaticamente i dati, più volte: respiratorio, digestivo, endocrino, circolatorio, tutti i sistemi autonomi procedono tranquillamente. Il Presidente, in un sonno privo di sogni (gli occhi immoti), sdraiato come suo solito sul fianco sinistro (una debole pressione sull’aorta), russa dolcemente (ripercussioni sulla cassa toracica); è chiaramente privo di apprensione per l’operazione che lo aspetta. Mordecai invidia la sua calma. Ma naturalmente, i trapianti di organi sono un’abitudine per Gengis Mao.

Nel preciso momento in cui sorge l’alba il dottore lascia l’amaca, si stira, percorre nudo il fresco pavimento di pietra della camera da letto fino al balcone, esce all’aperto. L’aria, intessuta verso oriente del blu del mattino, è nitida, fredda, ritemprante, con un vento tagliente che soffia attraverso le pianure, un forte vento meridionale che corre per la Mongolia dalla Grande Muraglia verso il lago Baikal. Gonfia le bandiere nere di Gengis Mao in Sukhe Bator, la grandiosa piazza principale della capitale, e agita i rami fioriti di rosa dei tamarischi. Shadrach Mordecai trae un respiro profondo e studia l’orizzonte lontanò, come se si aspettasse di scorgere segnali di fumo carichi di significato in arrivo dalla Cina. Non giunge nessun segnale: solo i piccoli scatti e le pulsazioni dei dischi dell’innesto chirurgico, che cantano festosi la canzone della perfetta salute di Gengis Mao.

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