Читаем Shadrach nella fornace полностью

Il flusso è più nervoso del solito quest’oggi; ci dev’essere qualche computer gigantesco che mantiene in moto questo sistema, e al momento pare di umore irrequieto. I comandi si muovono senza posa da un occhio all’altro, le immagini compaiono e scompaiono in preda a frenesia. Ma ci sono dei lampi isolati di significato. Un cane dall’aria particolarmente infelice si trascina zoppicando lungo una strada polverosa. Una bambina di razza negroide, gli occhi grandi, la pancia gonfia, se ne sta in piedi in una conca, in mezzo al terriccio che vola dappertutto, si mastica il pollice e piange. Una vecchia che sulle spalle curve porta un carico avvolto con cura, calpestando i ciottoli della piazza di una tranquilla città europea, emette un grido soffocato, si porta le braccia al petto, lascia rotolare via i pacchetti mentre cade a terra. Un uomo dalla pelle rovinata dal sole, lineamenti da orientale e barba bianca disordinata, un piccolo berretto verde in testa, spunta da un negozio, tossisce, sputa sangue. Una folla — messicani? giapponesi? — si accalca attorno a due ragazzi che duellano brandendo coltelli da macellaio; sulle braccia e sul petto dei due spicca il rosso vivo di numerosi tagli. Tre bambini si stringono l’uno all’altro sul tetto di una casa distrutta, alla rapida deriva nel grembo grigio e bianco di un fiume straripato. Un mendicante col volto da rapace protende con fare accusatorio la mano simile a un artiglio. Su un marciapiede una giovane dai capelli scuri cade in ginocchio, piegata su se stessa per il dolore, tocca il suolo con la testa sotto gli occhi di due ragazzini. Un’automobile lanciata a grande velocità sbanda, e proiettata fuori dall’autostrada svanisce fra i cespugli di un dirupo. Il Vettore di Sorveglianza Uno è come un maestoso arazzo composto da centinaia di sezioni, ciascuna con una storia da raccontare, una storia frammentaria che con piccoli indizi provoca lo spettatore e sfida la comprensione. Là fuori nel mondo, in quel grande Reparto Traumatologia che è il mondo, i due miliardi di sudditi di Gengis II Mao IV Khan muoiono ora dopo ora, nonostante gli sforzi del Comitato Rivoluzionario Permanente. Niente di nuovo in questo, tutte le persone che nel corso dei millenni sono state al mondo non hanno fatto altro che morire ora dopo ora; ma le maniere di morire sono diverse in questi anni, dopo la Guerra Virale. La morte è ammantata di un senso di immediatezza che non ha mai avuto prima, ora che così tante persone stanno marcendo dentro, in modo così vistoso, tutte nello stesso momento, e la decadenza generale è causa di una tristezza tanto più lancinante poiché ci sono questi innumerevoli occhi a osservarla nella sua totalità. I rilevatori del Khan captano tutto, senza esprimere commenti, senza offrire giudizi, limitandosi a riempire quelle pareti con un ritratto impressionante e sconcertante della versione riveduta della condizione umana, dopoguerra del primo ventunesimo secolo. La stanza è un tornasole del carattere, sollecita reazioni rivelatrici in ciascuno spettatore. Per Mordecai la corrente turbinosa di scene che si susseguono è affascinante e repellente, un mosaico folle di decomposizione e di sconfitta, di coraggio e sopportazione; ama e compatisce i sofferenti che per degli attimi appaiono sugli schermi, e se potesse li abbraccerebbe tutti: rimetterebbe in piedi quella vecchia, metterebbe delle monete nella mano ricurva del mendicante, carezzerebbe la pancia gonfia di quella bambina. Ma Mordecai è una persona portata a curare le altre, per inclinazione e per professione. Ad altri, quel brutale teatro che è il Vettore di Sorveglianza Uno ha la sola funzione di ricordare la loro personale buona sorte: com’è stato saggio da parte loro sforzarsi di raggiungere un alto rango governativo e ottenere dosi regolari di Antidoto di Roncevic, godere del favore del Presidente Gengis Mao e vivere liberi dal dolore e dalla fame e dalla decomposizione organica, isolati dall’incubo della vita reale! Per altri gli schermi sono una visione insopportabile, non eccitano un senso di superiorità ma piuttosto un sentimento di colpa intollerabile, loro qui al sicuro mentre quella gente è là fuori. E per altri ancora gli schermi sono semplicemente noiosi: mostrano opere drammatiche prive di trama, interazioni prive di uno scopo comprensibile, tragedie prive di significato morale, semplici brandelli randagi del tessuto strappato della vita. Quali siano le reazioni di Gengis Mao al Vettore di Sorveglianza Uno è impossibile determinarlo, perché il Khan è, in questa come in tante altre cose, assolutamente imperscrutabile all’occhio di chi lo osservi manipolare i comandi. Quel che è certo è che là dentro passa ore intere. In un certo senso, la stanza gli dà nutrimento.

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