— Impronte di passi. Grandi. Che entravano e uscivano. Quelle vicine alla tenda erano confuse, ma ne ho trovate altre più lontano. Impronte ben distinte. Una serie era fresca. Quelle che si allontanavano. Scommetto che se ne è andato dopo che ci siamo messi a dormire. — Derek fece una pausa. — Non dall’ingresso principale. Mi avrebbe svegliato. Ha separato due pelli sul retro.
Riflettei un momento. — Pensi che si tratti dell’uomo al quale sta facendo segnalazioni?
— Assai probabile. Non voleva che sapessimo che era amica di un uomo. Sebbene io sia un uomo, e anche l’oracolo. Queste persone sono guardinghe.
Controllai i vestiti. Erano ancora umidi. — Mi sono resa conto solo stamattina che c’è una possibilità che il nostro viaggio sia quasi finito. Ancora un giorno o due e non vedremo più Nia né l’oracolo.
Derek fece il gesto dell’approvazione.
— Non mi è rincresciuto lasciare quel villaggio del New Jersey. Quelle persone erano odiose. Ne sono uscita viva a stento. Ma tutte le altre volte in cui ho terminato uno studio, è stato doloroso. Almeno un po’. Entrare e uscire dalla vita di altri individui.
— Di solito io sono pronto ad andarmene — disse Derek. — Incomincio a pensare alla mia casa di Berkeley. Ai miei libri. L’impianto idraulico interno. La cucina con tutto quello che mi serve per cucinare. E tutte le donne avvenenti che si trovato in giro per l’università. — Esitò. — In seguito, quando sono tornato, sento la mancanza delle persone che stavo studiando. — Sorrise. — Fra le comodità della mia casa.
Controllai di nuovo i vestiti. Parlammo delle persone che avevamo studiato e delle persone che avevamo conosciuto come amici e colleghi sulla Terra. Una conversazione divagante, piena di pause. Facemmo l’amore una seconda volta e ci lavammo di nuovo nel tiepido fiume. La giornata diventava sempre più calda. A ovest comparvero delle nuvole.
Intorno a mezzogiorno Nia venne a cercarci. — L’uomo è arrivato. Deve vivere qui vicino. È disposto ad accompagnarci fino al lago, ma vuole partire subito. Dice che ci sarà un temporale nel pomeriggio. Prima di allora vuole aver disceso un bel tratto di fiume.
Ci infilammo la biancheria e scuotemmo via la sabbia dagli altri indumenti, li arrotolammo e li riportamo al nostro bivacco.
C’era una canoa tirata in secca sulla riva. Ricavata da un tronco scavato e piuttosto grossa. Era sorprendente che un uomo solo avesse bisogno di un’imbarcazione così grande. La prua era alta e la parte superiore era costituita da una testa di animale scolpita in modo elaborato. Gli occhi erano intarsiati di conchiglie. La bocca era aperta e aveva denti veri: triangolari e bianchi. Erano tutti delle stesse dimensioni. Generici. Con ogni probabilità i denti di un pesce o di un rettile o di un uccello molto grosso. Il proprietario della canoa non si vedeva da nessuna parte.
— È dentro la tenda — disse l’oracolo. — Sta parlando con Tanajin. Sono una strana coppia.
— Faremmo meglio a infilarci le camicie — disse Derek. — La giornata è radiosa. Ci scotteremo sull’acqua.
— Okay.
Infilammo negli zaini i jeans e il resto delle nostre cose.
Nia disse: — Ho parlato con Tanajin questa mattina e le ho spiegato che sono una lavoratrice del ferro. Lei ha qui degli utensili, lasciatile da una viaggiatrice. Dice che c’è un buco sul fondo della sua migliore pentola per cucinare, e Ulzai, l’uomo, ha un coltello che non ha più filo. E c’è altro lavoro da fare.
— Io non sono di grande utilità a una fucina — aggiunse l’oracolo. — Ma conosco storie, e i miei sogni sono utili.
Reciprocità. Un dono dev’essere sempre ricambiato. Che cosa avremmo potuto dare a Nia e all’oracolo in cambio del loro aiuto?
Tanajin uscì dalla tenda, portando una sacca di cuoio e una grossa anfora di metallo. — Cibo — disse.
L’uomo la seguiva. Non era alto, ma aveva il corpo ampio e pesante. La sua pelliccia era lunga e ispida e lo faceva sembrare ancora più grosso di quanto fosse in realtà. Zoppicava in modo evidente. Aveva una chiazza di pelame bianco su una gamba. Era forse segno di tessuto cicatrizzato? L’uomo volse il capo e ci osservò con attenzione. Sul lato della faccia c’erano due linee verticali di pelo bianco. La linea interna arrivava all’angolo della bocca e il labbro era girato all’infuori. Riuscivo a vedere la rossa membrana mucosa.
Gli occhi erano rossi, le pupille contratte e così strette che non riuscivo a vederle. Lo sguardo era assente. Strano!
— Non c’è dubbio che siate diversi — disse. La sua voce era profonda e aspra. — Tanajin dice che non siete stati ammalati.
Derek fece il gesto dell’affermazione.
— Io sono Ulzai.
Portava un gonnellino di tessuto marrone. La cintura era di cuoio con una fibbia di metallo giallo. Ottone, con ogni probabilità. Appeso a un fianco portava un coltello in un fodero di cuoio e ottone o bronzo. L’impugnatura era d’argento annerito. Era a piedi nudi e non portava nessun gioiello. Era l’uomo dall’aspetto più trasandato che avessi visto su questo pianeta. Trasandato e brutto.