Quasi sempre i nativi mi facevano pensare a degli orsi, ma ora c’era qualcosa di felino in Nia. Fece una smorfia e si strofinò l’altro braccio. —
Ulzai si era diretto verso l’interno. Nia tornò verso la riva.
L’oracolo aprì la sacca che ci aveva dato Tanajin. — Io non vado da nessuna parte. — Tirò fuori un frutto giallo grande come una palla. Ero abbastanza certa che si trattasse di un frutto. L’addentò e ne schizzò del succo. L’oracolo si asciugò il mento e si leccò le dita, masticando per tutto il tempo.
Derek tirò fuori la sua radio. — Nia ha ragione. Ci dovrebbe essere un po’ di vento vicino al fiume, e un po’ di sole, se le nuvole si diradano. Penso che farò una chiacchierata con Eddie. E quando avrò finito, ho intenzione di pescare.
Se ne andò. L’oracolo continuò a mangiare. Un raggio di sole raggiunse lo stagno, che luccicò.
— Farà di nuovo molto caldo — osservò l’oracolo.
Feci il gesto dell’assenso. L’aria era umida. Comparvero nugoli di minuscoli insetti. Brillavano come granellini di polvere alla luce del sole che inondava lo stagno. Nell’ombra della foresta erano invisibili. Ma me li sentivo sulla faccia. Sbuffai e agitai le mani.
L’oracolo disse: — Va’ pure. Vedo che ti stai innervosendo. Se l’uomo ritorna e vuole sapere dove siete tutti quanti, glielo dirò.
— Okay. — Mi diressi verso il fiume, camminando lentamente e guardandomi attorno. Gli alberi erano alti, con il tronco sottile e diritto e la corteccia grigia. Il fogliame, molto al di sopra di me, era azzurro. Qua e là alcune foglie, sfiorate dalla luce del sole, luccicavano come pezzi di vetro azzurro in una finestra.
Doveva esserci più di un sentiero. Quello che avevo seguito mi condusse in un luogo che non ricordavo. C’erano degli alberi morti fra macchie di una pianta senza foglie. Fusti verdi e nodosi si muovevano rigidi al vento.
Potevo tornare indietro e cercare di ritrovare il sentiero che avrei dovuto seguire, ma come l’avrei riconosciuto? Guardai a terra. La mia ombra si allungava sul sentiero. Stavo dirigendomi verso est. Eravamo approdati sulla riva orientale dell’isola. Meglio andare avanti.
Il sentiero diventava melmoso. Le piante crescevano alte: un metro e mezzo, due metri. L’acqua luccicava fra la vegetazione. Mi trovavo in una palude. Era venuto il momento di arrendersi. Mi voltai.
C’era una lucertola sul sentiero a dieci metri di distanza. Non una veramente grossa. Calcolai che dovesse essere lunga due metri, coda e tutto. L’animale sollevò la testa, la girò e mi osservò con un vivace occhio nero.
Oh, all’inferno.
Aprì la bocca. Vidi dei denti frastagliati. Uscì una lingua, grossa e nera.
Rimasi immobile.
La pelle dell’animale era bruna con solo qualche ruga e gli aculei lungo il dorso erano in buone condizioni. Questo esemplare era relativamente giovane. Non aveva sofferto per il tempo e la violenza. Era pericoloso?
Aprì ancora di più la bocca e protese maggiormente la lingua. Che cosa stava facendo? Assaggiando l’aria? Sentendo il mio odore? Voleva scoprire se ero commestibile?
Non volevo andare verso l’animale, e non volevo neppure voltargli le spalle. Su entrambi i lati avevo acquitrini. Incominciai a sudare.
Il lungo corpo si girò di colpo. Un istante dopo l’animale era sparito, lontano dal sentiero e fuori dalla vista fra le canne.
Emisi un profondo respiro. Proprio allora comparve Ulzai, zoppicando lungo il sentiero fangoso con in mano una lancia. — Vi avevo detto di stare fermi. Torno indietro e non c’è nessuno, a parte il piccolo uomo. Vengo a cercarvi. Che cosa scopro? Le tue tracce che vanno nella direzione sbagliata! Sei pazza? O soltanto una sciocca?
— Una sciocca — dissi.
Lui sbraitò. — È un bene che tu sappia quello che sei. Molti non lo sanno. Questo sentiero conduce in un acquitrino. Ci sono le lucertole.
— Lo so. Ne ho vista una appena prima che arrivassi tu. Sul sentiero dove ti trovi ora.
Ulzai abbassò lo sguardo sul fango davanti a lui. — Vedo. Non era grossa. Un animale di quelle dimensioni non attacca una persona adulta. Non hai corso alcun pericolo. Muoviamoci.
Quando arrivammo al fiume, la metà occidentale del cielo era serena. Il sole splendeva luminoso. Nia aveva disteso la sua tunica sulla canoa. Stava sdraiata di schiena sulla sabbia, un braccio sugli occhi. Derek le era seduto accanto. — Stavo osservando il fiume. Ci sono dei grossi pesci là fuori. Credo che mi fabbricherò una canna da pesca.
— Una che cosa? — domandò Ulzai.
La parola che aveva usato Derek significava, nell’uso comune, un palo da tenda o l’asta di uno stendardo.
— Che cosa credi che abbia detto? — chiese Derek.
— Che volevi fabbricare una tenda per i pesci. O altrimenti… — Ulzai aggrottò la fronte. — Che volevi innalzare uno stendardo con in cima un pesce. È quello l’animale della tua stirpe?