Decisi di accendere il falò. Non oggi. Il sole era già a occidente. Quando avessi raccolto legna a sufficienza sarebbe stata ormai notte. Quello doveva essere il programma per l’indomani.
Controllai di nuovo la trappola. Era vuota. Cercai altri calamari, ma non ne trovai nessuno. Per cena mi restavano le radici. Le lavai nel fiume e le arrostii sul fuoco.
Il sole tramontò. Mangiai le radici. Non sapevano di niente in particolare. Descrissi al mio registratore le radici e la creatura che avevo trovato nella trappola. Poi mi misi a dormire.
Mi svegliai con un attacco di indigestione. Il fuoco non era che un mucchio di braci. Il cielo era pieno di stelle. E io soffrivo di un terribile caso di gas intestinale.
Quelle maledette radici! Dovevo essermi sbagliata. Non erano della specie che aveva trovato Nia. Riaccesi il fuoco e mi sedetti lì accanto, aspettando che il dolore passasse o peggiorasse.
Se ne fossi uscita viva, avrei dato un nome a quel luogo. Se necessario, avrei controllato i membri del team cartografico mentre inserivano l’informazione. Con ogni probabilità l’avrei chiamato Isola del Piccolo Insetto, benché mi piacesse anche Isola delle Piccole Seccature. Suonava bene. Immaginai le persone del futuro che leggevano il nome e dicevano: "Qui dev’esserci una storia. Quali erano le seccature? E chi era la persona seccata?".
Finalmente il dolore cessò. Tornai a dormire.
La mattina seguente era soleggiata con una leggera foschia, fresca per il momento. Andai a vedere la mia trappola.
Ah! C’era un pesce. Era grosso e arancione con una pinna dorsale blu scuro. Attorno alla bocca aveva lunghi filamenti sottili color azzurro chiaro. Si muovevano lentamente, tastando l’aria o forse assaporandola.
— Come sei brutto — dissi.
Il pesce aprì la bocca e gracidò.
— Lo stesso vale per me, eh?
Il pesce gracidò di nuovo.
Non avevo particolarmente fame, non dopo una notte di indigestione. Il pesce si sarebbe conservato. Rimisi nell’acqua la trappola e tornai a riva.
Trascorsi la mattinata raccogliendo legna. Entro mezzogiorno ero in un bagno di sudore e provavo un po’ di nausa a causa della calura. Il cielo era pieno di nuvole alte, appena visibili attraverso la foschia. Gli alberi lungo la mia spiaggia erano immobili. Ci sarebbe stato un temporale, ma non subito. Accesi il falò di segnalazione.
Prese lentamente. Aggiunsi foglie secche e frammenti di corteccia. Le fiamme lambirono i bianchi rami contorti. Si levò il fumo. Il calore era intenso. Arretrai e mi guardai attorno. Il cielo era sgombro all’infuori delle nuvole e della foschia.
Non c’era nessun altro che faceva segnalazioni.
Abbi pazienza, mi dissi. Aggiunsi altra legna.
Tenni il fuoco acceso per buona parte del pomeriggio. Si ammassarono altre nuvole e incominciò a soffiare il vento. Invece di salire verso l’alto, la mia scia di fumo si allungava di lato. Andai a prendere il mio pesce e lo uccisi, lo pulii e lo arrostii fra le braci ai margini del fuoco.
Ora c’erano creste spumeggianti sul fiume e il tuono brontolava verso ovest. Mangiai il pesce. Sapeva di fango. Avrei dovuto tenerlo vivo per tre giorni in acqua corrente pulita o altrimenti affumicarlo. Era quello che si faceva con la carpa. Mi leccai le dita. Inominciarono a cadere le prime gocce di pioggia, sibilando nel fuoco. Mi misi al riparo degli alberi.
Guizzavano i fulmini e i tuoni facevano rumori assordanti. La pioggia veniva giù a torrenti che spazzavano il fiume, gonfiandosi di fronte al vento. Mi raggomitolai sotto un cespuglio mentre l’acqua grondava fra le foglie sovrastanti, formando pozze sul terreno.
Finalmente il temporale si spostò verso est. La pioggia cessò. Uscii strisciando da sotto il mio cespuglio, mi tolsi i vestiti e li strizzai, poi andai a controllare il mio fuoco. La legna era fradicia. Non c’era modo di riaccenderlo. Forse l’indomani.
Ma il giorno seguente era tutto ancora bagnato e trascorsi la giornata a cercare provviste. I calamari erano spariti. Trovai nuovi bruchi e l’albero dai frutti color blu indaco. L’albero aveva il tronco diritto e i frutti si trovavano molto in alto. Non era un problema. I rami erano pieni di animali. Restai lì in attesa. Gli animali incominciarono ad agitarsi. Stridevano e fischiavano.
— Altrettanto a voi — dissi.
Lanciarono frutta e io la raccolsi. Loro fecero versi ancora più furiosi.
— Idem.
Misi altre esche nella mia trappola e riaccesi il fuoco per cucinare, poi mi feci un nuovo pannolino. Il flusso era quasi cessato. Ancora un giorno o due e sarei stata in grado di lasciare l’isola.