— Perché hanno mandato i progetti se non possiamo usarli?
— Per nostra informazione e nell’eventualità che ci imbattessimo in una grande quantità di metallo, una grande quantità di silice e una moderna società industriale. Bisogna essere sempre preparati, come ha detto qualcuno. Forse Frederick Engels.
Mi grattai il naso. — Che cosa ti preoccupa?
— A parte il
— Andiamo, Eddie. Sai che non possiamo farlo. La segretezza è nemica della democrazia. Ci sono altre notizie?
— Derek si sta spostando verso nord e verso ovest. Si trova solo a un centinaio di chilometri da te. Vorrebbe unirsi a te. Pensi che la tua amica sarebbe contraria a viaggiare con un uomo?
— Sì.
— Era quello che temevo.
Vidi qualcosa muoversi con la coda dell’occhio. — Devo andare. — Spensi la radio e la ficcai dentro lo zaino, poi mi guardai attorno e scorsi un animale bipede abbastanza simile a quello che avevo visto nel canyon. Questo, però, era di una nuova varietà, alto come me con una schiena color blu scuro. Il ventre era bianco panna, e aveva una cresta: un ciuffo di piume lunghe che risplendevano azzurre alla luce del sole. L’animale era intento a mangiare da un albero ricoperto di bacche, protendendo le lunghe braccia e strappando le bacche, una manciata alla volta. Si riempiva la bocca di bacche, poi inghiottiva e ne coglieva altre. Mi alzai. L’animale girò il lungo collo e mi fissò, poi riprese a mangiare. C’era qualcosa di stranamente umano nei suoi movimenti. Non poteva essere intelligente. La sua testa munita di cresta era piccolissima. Nondimeno, restai a osservarlo finché non ebbe finito di mangiare e non si fu allontanato. Poi tornai al villaggio.
Alla sera la sciamana tornò. La vidi entrare nel villaggio. Indossava una lunga Veste azzurra e un cappello fatto di penne. Cinque donne la seguivano. Due di loro portavano una barella sulla quale era distesa Nia. Aveva gli occhi chiusi. Sembrava addormentata.
— Non preoccuparti — mi disse Eshtanabai. — La nostra sciamana curerà la tua amica.
— Lo spero.
La sciamana disse: — Portate la donna nella mia casa. Andrò a raccogliere erbe medicinali.
Eshtanabai mi toccò il braccio. — Vieni con me. La sciamana non vorrà visitatori, fatta eccezione per i santi spiriti. E a te non piacerebbe incontrarli. Non è prudente.
— D’accordo.
Trascorsi la sera in casa di Eshtanabai. Mi sentivo irrequieta e turbata. Che cosa stava succedendo a Nia? Mi mordicchiavo le unghie e osservavo il fuoco. Eshtanabai giocava con i bambini. Dopo un po’ me ne andai fuori. Il villaggio era silenzioso salvo per il suono di un tamburo. Era forse la sciamana? Non lo sapevo. Guardai in su. Il cielo era limpido e le stelle splendevano luminose. Un vento fresco soffiava dalla pianura. Era un bel pianeta: puro e pulito, e quasi disabitato. Noi stavamo lavorando al nostro pianeta da oltre un secolo quando la nave era partita e il lavoro era continuato. Erano già due secoli. C’erano ancora sfregi ovunque: montagne spogliate, paludi avvelenate, vaste distese dove la terra era inutilizzabile, almeno per gli umani: erosa, arida o piena di sale, l’acqua esaurita, pompata completamente e utilizzata nel Ventesimo Secolo.
Che cosa avevano avuto in mente le popolazioni di allora? Avevano lasciato i loro discendenti quasi privi d’acqua e con enormi montagne di uranio. Che genere di eredità era mai quella? Come pensavano che saremmo sopravvissuti?
Ce l’avevamo fatta senza molto aiuto da parte loro. Era sorprendente quante persone eravamo riusciti a salvare. Quando pensavo alla Terra, mi venivano in mente masse di gente. Soltanto l’oceano era veramente disabitato, così come le calotte polari e le terre distrutte.
Guardai in su verso il cielo stellato e provai un terribile senso di perdita.
Non che la mia società non mi andasse a genio. Era sana, decorosa, umana, la migliore società che la Terra avesse mai conosciuto. Ma era enormemente complessa. Non c’era nulla di facile. Nulla di chiaro e lineare. Per la prima volta la storia era un processo consapevole. Per la prima volta gli individui potevano plasmare deliberatamente la propria vita, con la consapevolezza di ciò che facevano.
Discutevamo ogni punto. Votavamo. Venivamo a compromessi. Costituivamo fazioni e coalizioni. Pensavamo sempre alla giustizia e all’equità, alle conseguenze di quello che facevamo, al futuro.
Il tamburo s’interruppe. La brezza cambiò direzione. Ora sentivo gli odori dei fuochi per cucinare e delle latrine. Decisi di tornare dentro.
L’indomani mattina mi recai alla casa della sciamana.
Mi accompagnava Eshtanabai. — O santa — gridò. — La persona senza pelo è venuta a far visita.