La porta si aprì. La sciamana fece capolino. — La tua amica è ammalata. Brucia. Sento il calore nei punti in cui la sua pelliccia è sottile. Ed è debole. Ma la curerò. Non temere.
— Posso entrare?
La sciamana si accigliò, poi fece il gesto dell’assenso e aprì di più la porta.
Il fuoco era spento. La sola luce penetrava dall’apertura per il fumo: un raggio di luce dorata che scendeva obliquo e illuminava un vecchio canestro, scolorito e sformato. Ogni altra cosa nella casa era nascosta dall’oscurità. Vidi dei mucchi di roba, ma non avrei saputo dire di che cosa si trattasse.
— Nia? — Mi guardai attorno.
Uno dei mucchi si mosse e sollevò una mano. Mi avvicinai. Era Nia, che giaceva avvolta in una coperta.
— Come stai?
— Mi sento in modo orribile. Siediti. Tienimi compagnia.
Lanciai un’occhiata alla sciamana. Lei fece il cenno dell’assenso, così mi sedetti.
Nia chiuse gli occhi. Per un po’ di tempo non disse niente, infine parlò. — La sciamana è brava? Lo sai?
— Sembra che abbiano una buona opinione di lei.
— Bene. Forse allora vivrò. — Aprì gli occhi. — Enshi è venuto da me la notte scorsa. Porta male sognare i morti. Ma lui non mi ha minacciata. Scherzava e mi ha detto come si sta a vivere nel cielo. Non male, ha detto, anche se di quando in quando soffre la fame. È sempre stato un pessimo cacciatore. Perfino quando sono gli animali ad andare da lui, come fanno in quella terra, gli capita di mancare il bersaglio. Che uomo inutile! Ma raccontava delle belle storie, e aveva un carattere meraviglioso. Non si adirava mai. — Chiuse gli occhi. Attesi. Riaprì gli occhi. — Abbiamo fatto una cosa vergognosa.
Diedi un’occhiata attorno. La sciamana era sulla porta e stava parlando con Eshtanabai. Era troppo lontana per sentire.
Nia sollevò il capo e guardò le due donne, poi tornò a coricarsi. — Non voglio parlartene. Non qui. Non sono pazza. Sono stanca. Voglio dormire.
La lasciai e trascorsi la giornata a gironzolare per il villaggio, osservando i bambini che giocavano nelle strade e chiacchierando con madri e nonne. Erano persone cortesi e amichevoli. Una lavoratrice del rame mi mostrò come lavorava il metallo. Un’anziana donna mi raccontò come fosse stato creato il mondo da un seme lasciato cadere dall’uccello che vive sull’albero del sole. Alla sera cenai con Eshtanabai.
— La tua amica si rimetterà. Me l’ha detto la sciamana. La sciamana sostiene che la tua amica lavora il metallo. Le ha promesso un coltello.
Feci il gesto dell’affermazione, seguito da quello dell’approvazione.
— Appartiene al Popolo del Ferro?
— Sì.
— Loro vivono più a ovest, oltre il Popolo dell’Ambra. Ho sentito dire che sono violenti.
— Non saprei.
— A detta del Popolo dell’Ambra, litigano parecchio e quando fanno un dono, si assicurano sempre che il dono che ricevono in cambio sia altrettanto buono.
Feci il gesto che significava "può darsi" o "se lo dici tu".
L’indomani vidi di nuovo Nia. Nella buca ardeva un bel fuoco e la casa della sciamana era piena di fumo aromatico. La mia amica si era tirata su a sedere, la schiena appoggiata a un palo. Mi sedetti anch’io. La sciamana se ne andò, chiudendosi l’uscio alle spalle.
— Gliel’ho chiesto io — disse Nia. — Ho fatto un altro sogno. Ho visto Hua, la donna che mi ha allevata. È morta prima che qualcuno sapesse ciò che avevo fatto. Ma adesso lo sa. Ed è furiosa. Mi ha detto parole taglienti.
"Le ho risposto che ciò che avevo fatto non la riguardava affatto. E, in ogni caso, non avevo fatto niente di malvagio. E lei: ’Sono tutti d’accordo con me. È stata una cosa cattiva’. E io ho ribattuto: ’Racconterò la cosa a Li-sa. Lei viene da molto lontano. Sa come vengono fatte le cose in luoghi diversi. Lasciamo decidere a lei se la cosa che ho fatto era malvagia oppure no’. Poi mi sono svegliata." Nia mi guardò. Trovavo difficile decifrare l’espressione del suo viso, ma ebbi l’impressione che fosse stanca e infelice.
Le dissi: — Raccontami la tua storia, se lo desideri.
Nia aggrottò la fronte e si grattò il naso. Poi incominciò. Fino a quel momento l’avevo giudicata un tipo forte e di poche parole. Non aveva mai parlato molto, ma ora le parole le uscivano facilmente. Doveva essersi esercitata a ripetere la sua storia. Me la figurai mentre la raccontava, molto probabilmente a se stessa. Doveva averla provata più e più volte, cercando di dare un senso a quanto era accaduto.
— Il primo errore è stato questo: ho aiutato Enshi a incontrare sua madre. Non so perché l’ho fatto. Lui è sempre stato molto bravo con le parole. Riusciva sempre a far sembrare giusto e ragionevole quello che voleva.