Nia aggrottò la fronte e guardò il fuoco. — Avevo un fratello così. Anasu. Faceva tutto quello che andava fatto, e lo faceva meglio di quasi tutti gli altri. Ormai è un uomo grande e grosso. Ne sono sicura. Non era il tipo da restarsene fra le colline con i giovani, con gli uomini come Enshi. Ormai deve avere un territorio vicino al villaggio e molte donne nella stagione degli accoppiamenti. — Nia si grattò il naso. — C’era un’altra. Angai. Una mia amica. Era difficile andare d’accordo con lei quando era giovane. Non piaceva alla gente. Ma è cambiata in meglio. È la sciamana del mio villaggio. Ha con sé i miei figli. — Alzò lo sguardo. Mi ritrovai a guardare dritto nei suoi occhi color arancione. — Non capisco che cosa mi sia successo. Ma una cosa la so. È sbagliato provare invidia. Hakht la provava. Bruciava dentro di lei come fuoco sotto terra. L’ha trasformata in qualcosa di disgustoso. Non invidierò altre persone. — Si alzò e andò a prendere il suo mantello. — Adesso me ne vado a dormire.
Si coricò. Io rimasi alzata. La grande luna era visibile a occidente: una mezzaluna alta nel cielo, di un brillante giallo limone, che illuminava nuove nuvole. Erano grandi e ondeggianti. Un nuovo sistema atmosferico? Incominciavo a sentirmi assonnata. La mia mente vagava da un argomento all’altro: l’invidia, poi il fratello di Nia. Chissà che tipo era? Che cosa significava avere un fratello nella sua cultura? Ricordavo i membri più giovani della mia famiglia. Leon. Clarissa. Charlie. Maia. Mark. Fumiko.
Fumiko era di gran lunga la più giovane. Quando ero partita lei stava terminando l’università e si preparava per il suo anno, o i suoi anni, di vagabondaggi. Io ero andata molto presto, a vent’anni. Avevo lasciato la scuola e me ne ero andata nella Grande Isola a tagliare canna da zucchero. Poi mi ero recata in Asia, lavorando su uno dei nuovi piroscafi da carico. Cucinavo e imparavo a far funzionare il computer che controllava le vele. Quello era un compito facile. Il computer funzionava quasi da solo. Ma ero quasi impazzita cercando di cucinare nella minuscola cambusa mentre tutto attorno a me si muoveva.
Bene, era accaduto molto tempo addietro e su un altro pianeta. Presi il mio poncho e mi coricai per dormire.
Fui svegliata da un grido ululante: acuto, pauroso, disumano. Un istante dopo ero in piedi. Non ricordavo come ci fossi arrivata in quella posizione. Dall’altra parte del fuoco c’era Nia. Era in piedi anche lei. Aveva gli occhi sgranati e teneva in mano il suo coltello.
— Che cos’è stato? — chiese.
— Non lo so.
Mi resi conto che lo sapevo e che mi ero sbagliata. Il suono non era disumano. Era il grido di battaglia di un aborigeno californiano. Mi guardai attorno. — Derek?
Dalle tenebre giunse un altro suono, un grido di paura nel linguaggio dei doni. — Aiuto! Aiuto! Un demonio!
Mi voltai e mi precipitai giù per la collina. Nia mi seguì. Ci facemmo strada fra la pseudo-erba. Sotto di noi la voce ripeteva: — Aiuto! Aiuto!
Derek gridò: — Smettila di lottare con me!
Li vidi, una massa che si dimenava, appena visibile nel chiarore lunare. Mi fermai. I due corpi rotolavano avanti e indietro. Derek era sopra. Vedevo agitarsi i suoi capelli biondi. La persona che stava sotto gridava: — Aiutatemi!
Nia disse: — Se hai intenzioni pacifiche, smettila di dibatterti. L’altra persona non ti farà del male. Non è un demonio.
— No? — Il corpo che stava sotto cessò di muoversi. — Sei sicura?
Derek si sollevò dall’altro individuo e lo tirò in piedi.
—
— Sì — rispose Nia. — E tu chi sei?
— Sono la Voce della Cascata.
— Non è possibile! Ne ho sentito parlare. Passa tutta la sua vita vicino alla cascata. Quando muore e la gente trova il suo corpo, lo getta nel fiume. Le sue ossa giacciono fra le rocce sul fondo della cascata.
— Questo è vero. Non possiamo parlarne accanto al fuoco? Ho paura a restare qui fuori al buio. E questo essere dalle mani forti non potrebbe lasciarmi andare?
— Lixia? — chiese Derek.
— È tutto a posto. Lascialo andare.
C’incamminammo su per la collina. Quando arrivammo accanto al fuoco guardai l’oracolo. Questa volta non era più nudo, ma indossava un gonnellino lacero. Non riuscii a distinguerne il colore. Grigio o marrone. Attorno al collo portava una collana: perline d’oro e grossi pezzi irregolari di turchese. I turchesi erano blu e verdeazzurri. La collana era splendida. L’uomo si massaggiò le braccia. — Uh! Che presa che ha quella creatura! — Guardò Derek. — Un altro individuo senza pelo! Che cosa sta accadendo al mondo?
— Perché sei qui? — gli domandò Derek.
— Non possiamo sederci? Sono stanco. Sono giorni che cammino. Mi fanno male i piedi e ho così sete che non riesco quasi a parlare.
Nia prese la sua ghirba. L’uomo bevve, poi si sedette. —
Nia gli porse un pezzo di pane. Lui lo mangiò.
Derek gli chiese: — Perché ci stavi seguendo?