"Presumo che il lago abbia una qualche specie di significato religioso. Non pensi? Ho trovato questo nel fango presso la riva." Si arrotolò una manica. Sul braccio aveva un braccialetto. Se lo tolse e me lo porse. Era d’oro, alto e pesante. Lo rigirai e notai un disegno, ripetuto quattro volte: un cornacurve con un altro animale che lo aggrediva, piantandogli gli artigli nella carne e azzannandolo. Che animale poteva essere? Il corpo era flessuoso come quello di una pantera, la testa stretta e allungata con orecchie enormi, e la coda finiva in un ciuffo. — Nia?
Lei si avvicinò.
— Che cos’è questo?
Prese il braccialetto. — Uh! È proprio bello! L’ha fatto qualcuno del mio popolo. Nessun altro sa fare un lavoro di questa qualità.
— Che animale è? Quello che sta sopra.
— Un assassino-delle-pianure. — Inclinò il braccialetto in modo che il disegno si vedesse meglio. — L’assassino-delle-montagne è più piccolo e ha delle squame oltre al pelo. Mi chiedo come ci sia arrivato qui. Dove l’hai trovato?
— L’ha trovato Derek giù nella valle, vicino al lago.
— Allora è un’offerta. Un dono ai demoni del fuoco. Non avresti dovuto prenderlo. — Porse il braccialetto a Derek.
— Oh, no? — Si rimise il braccialetto.
— Vedo che hai intenzione di tenerlo. — Nia fece il gesto che significava "così sia". — Credo che tu stia facendo un errore. — Si voltò e si allontanò.
Derek sorrise, poi si tirò giù la manica e l’allacciò.
— Ci sono volte in cui credo che tu sia pazzo — osservai.
— No. Solo gravemente alienato. In ogni caso, non credo ai demoni del fuoco. — Lanciò un’occhiata alla valle. — È un bene che non ci creda. La mia protezione personale è troppo lontana. La Balena Grigia non può aiutarmi qui.
La pista curvava verso sud, lasciando il margine della valle. Ancora una volta viaggiavamo in mezzo a colline. La giornata era nuvolosa e il sole era un luminoso disco bianco. Nella luce diffusa non c’erano ombre. Ero quasi certa che stessimo viaggiando verso occidente, ma non ci avrei scommesso. Pensavo anche che stessimo salendo, ma non avrei scommesso neppure su questo. La pista si snodava su e giù.
Gradualmente, i pendii delle colline si facevano più dolci, le valli più ampie e meno profonde. Gli alberi e gli arbusti, quei pochi che c’erano stati, sparirono.
— Uhu — disse Nia in tono soddisfatto. — Stiamo arrivando sulla pianura.
Ci inoltrammo in una nuova valle. Al centro scorreva un fiumiciattolo e un gregge di animali pascolava lungo la riva. Erano bipedi, una nuova specie, più grossa e più pesante di ogni specie vista in precedenza. Soltanto due si tenevano ritti sulle zampe posteriori. Forse stavano di vedetta. Gli altri avevano le zampe anteriori appoggiate al suolo e la testa abbassata, e stavano pascolando.
Derek disse: — Devono essere più abili dei nostri dinosauri. Devono competere con i mammiferi per i pascoli. O dovrei chiamarli mammiferoidi? Non capisco come riescano a sopravvivere.
— Ci sono, o c’erano, un sacco di strani uccelli sulla Terra. Struzzi. Emù. Casuari dell’elmo. E che dire del moa e del grande uccello degli alcidi? Sono sopravvissuti anche nell’era dei mammiferi. Di fatto, credo che la loro evoluzione sia avvenuta nell’era dei mammiferi.
Derek scosse il capo. — Si sono evoluti dai comuni uccelli per colmare determinate nicchie ecologiche: su isole, in almeno due casi. Il moa viveva nella Nuova Zelanda. Il grande uccello degli alcidi nidificava in Islanda. Queste creature invece si trovano ovunque. È evidente che riescono a competere con successo. E non credo che i loro antenati fossero uccelli. Sembrano più rettili, se questo termine ha un significato, su questo pianeta.
— Sono pennuti, e sono disposta a scommettere che sono animali a sangue caldo.
— Lo erano anche i dinosauri. Animali a sangue caldo, voglio dire.
Uno degli animali eretti emise un muggito. Gli altri s’impennarono sulle zampe posteriori e si allontanarono su per la valle lungo il fiume. Avevano un’andatura buffa, un modo di correre goffo. A dispetto dell’atteggiamento maldestro, coprivano una notevole distanza. Quando arrivammo sul fondo della valle erano già spariti.
All’incirca a metà del pomeriggio mi guardai attorno e mi resi conto che le colline erano finite. Ci trovavamo su una pianura ondulata, ricoperta di pseudo-erba che ondeggiava al vento, cambiando colore ogni volta che le foglie si rovesciavano: verde, verdeazzurro, bruno e grigio.
Qualcosa s’innalzava sopra l’orizzonte verso nord. Mi riparai gli occhi con la mano e osservai. La cosa era quasi dello stesso colore del cielo e così lontana che la si vedeva a stento. Un cono, ampio alla base. La sommità del cono, la punta, era mancante. Al suo posto c’era una linea orizzontale. L’orlo di un cratere.
Mi voltai ad aspettare Nia, che cavalcava a una certa distanza alle mie spalle. L’oracolo era dietro di lei, e cavalcava anche lui. — Che cos’è quello? — chiesi, indicandolo con la mano.
Lei lanciò un’occhiata, poi tirò le redini del suo animale.